Spunti ‘alternativi’ sulla leggenda di Troia nella Commedia di Dante

DOI : 10.56078/atlantide.339

Riassunti

Dans la Comédie de Dante, il y a plusieurs références à des versions ‘alternatives’ de la légende de Troie, datant probablement des récits de Dictys et Darès, qui sont bien connus et souvent cités au Moyen Âge. Troyens et Grecs apparaissent évidemment surtout dans l’Enfer, mais Hector, Énée et Penthésilée jouissent de la mélancolique destinée des Limbes. Dante semble suivre Darès et Dictys, en recourant parfois à des contaminations raffinées.

In Dante’s Comedy there are several references to ‘alternative’ version of the Trojan legend, dating back to Dictys’ and Dares’ tales, which are well known and often mentioned in the Middle Ages. Trojans and Greeks, of course, are placed in the Hell; but Hector, Aeneas and Penthesilea share the melancholic fate of being in Limb. Dante seems to follow Dares and Dictys when his main models (Virgil, Ovide and Stace) do not talk about these characters and their deeds; sometimes he is able to realize narrative contructions that work very well.

Struttura

Testo completo

Idue ignoti retori che in età imprecisata1 hanno raccontato da sedicenti testimoni la guerra di Troia, che forse avevano redatto in greco2 i loro scritti, successivamente tradotti in latino e così pervenutici, hanno avuto fama e destino infinitamente superiori ai loro mediocri meriti letterari, ma è opportuno indagarne i testi per una corretta e più adeguata comprensione di opere classiche e medievali di gran lunga più importanti.

A lungo, da Isidoro di Siviglia3 fino a Giambattista Vico4 che per primo li smascherò, si diede incondizionato credito alla loro pretesa identità di partecipi diretti e consapevoli a quel mitico conflitto; e il Positivismo ne ha fatto in Francia e in Italia oggetto di due opere erudite ancor oggi meritevoli di studio5, prima che una progressiva caduta d’interesse li rendesse di fatto vagamente noti a una ristretta schiera di specialisti e filologi.

Dell’importanza di Ditti per la ricostruzione del ciclo epico greco si sono occupati soprattutto i Frazer6 e se ne vedono i frutti nelle diverse edizioni dei frammenti; tuttavia a mio parere l’indagine potrebbe essere continuata, giacché altri suoi passi non indagati appaiono evidentemente connessi al ciclo7; per non parlare di Darete, mai esaminato sotto questo profilo8. E non appare infondata l’ipotesi che proprio per il tramite di Ditti e Darete notizie pertinenti al ciclo omerico siano approdate ai testi medievali di cui vogliamo occuparci9.

La straordinaria fortuna dei due autori in età medievale è senza dubbio legata alla ignoranza pressoché totale della lingua e letteratura greca in Occidente, anche se questa affermazione non può essere così categorica almeno per le zone d’Italia in cui Bisanzio continuò a far sentire una sempre più debole influenza. Una volta tradotti in latino, essi divennero comunque la fonte pressoché unica della vicenda troiana nella sua completezza: Virgilio infatti per bocca di Enea aveva rievocato solo le ultime ore della città, e le Metamorfosi di Ovidio, nelle parti dedicate alla leggenda troiana, avevano intenti del tutto diversi da quello ‘storico’. Il giudizio di Isidoro su Darete diede un significativo sigillo di autenticità al suo racconto, determinandone la diffusione in tutta Europa già prima dell’anno Mille e dando, di riflesso, analogo destino all’opera gemella di Ditti Cretese. Questo fenomeno letterario si conciliava perfettamente con il desiderio di dinastie, popoli e località di tutta Europa di farsi eredi di Troia, imitando la Roma dei Cesari.

Le rielaborazioni medievali pervenuteci sono praticamente sterminate: quelle più significative sono la Daretis Ylias di Giuseppe Iscano e il Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure, più volte messo in prosa e oggetto della fortunata traduzione latina di Guido delle Colonne, a sua volta volgarizzata in tutte le lingue della nascente Europa10.

Intento di questa ricerca è verificare se e quanto queste due opere e le loro rielaborazioni abbiano lasciato traccia nel poema dantesco. Cercheremo la risposta nelle testimonianze precedenti, coeve e successive alla composizione dell’Inferno11, dove Dante e Virgilio incontrano le anime dei personaggi ‘troiani’, e nei commenti a quei passi, soprattutto ma non solo i più antichi, quelli più vicini all’autore della Commedia12.

Quali sono dunque i personaggi ‘troiani’ della Commedia? Indagheremo su quelli che Dante e Virgilio incontrano direttamente13, ma daremo spazio anche ad alcune tra le numerosissime citazioni indirette14. È ovvio che la maggioranza di essi, in quanto pagani, siano relegati nei gironi infernali. Solo di Rifeo, infatti, sentiremo che Dante, sulla scorta di Virgilio (Aen., II, 339, 394, 426), lo destina al Paradiso: ma è la tipica eccezione che conferma la regola.

1.  Ettore, Enea, Pentesilea

Inf., IV, 121-124:
I’ vidi Elettra con molti compagni,
tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
Viddi Camilla, e la Pentesilea […]

Tra le numerose anime di pagani che Virgilio addita a Dante nel Limbo ce ne sono tre che hanno vissuto la guerra di Troia: Ettore, Enea, Pentesilea. Non stupisce che il poeta premi così la grandezza di questi personaggi: gli altri che incontrerà sono tutti dannati, ad eccezione di Rifeo15 che, pur pagano, è nel Paradiso, insieme con Traiano, per il suo straordinario amore della giustizia.

L’Elettra citata al v.121 è quasi certamente la madre di Dardano e quindi progenitrice di tutti i Troiani, non la figlia di Agamennone corresponsabile con Oreste della morte di Clitennestra e che non credo potesse vantare meriti eccezionali sul piano della morale cristiana. I tre eroi, e con loro la gemella ideale di Pentesilea, quella Camilla che pure lottò al fianco di Turno contro Enea invasore del Lazio, sono ora insieme, forse a significare quella unità d’intenti che li accomuna anche a Cesare, ‘troiano’ perché discendente da Iulo, e fondatore di quell’impero che resta il sogno politico di Dante. E Cesare, come Dante dice in Par., VI, 68-69, a Troia come sua ‘progenitrice’ volle ritornare: per rivedere la tomba di Ettore, nel tempio di Apollo Timbreo, dove Achille aveva pagato con la morte anche il vile agguato al luminoso eroe troiano (Darete, 34; Ditti, IV, 10-11):

Antandro e Simeonta, onde si mosse,
rivide e là dov’Ettore si cuba.

Un eroe veramente senza macchia: così appare Ettore nelle testimonianze classiche e medievali, e il posto che gli assegna Dante non ha bisogno di spiegazioni. Ulteriore conferma ne danno Darete e i suoi imitatori, Ditti e, tra i commenti danteschi, l’Ottimo, il Boccaccio e il Landino, che forniscono sull’eroe altre notizie di grande interesse. Proponiamo come testi i passi delle Istorie de Troia e de Roma e del Roman de Troie en prose sull’uccisione di Ettore per mano di un Achille non proprio valoroso.

Darete, De excidio Troiae, 24:
At ubi tempus pugnae superuenit, Andromacha uxor Hectoris in somnis uidit, ne Hector in pugnam procederet: et cum ad eum uisum referret, Hector muliebria uerba abicit. Andromacha moesta ad Priamum misit, ut illi prohibeat ne ea die pugnaret. Priamus Helenum, Alexandrum, Troilum, Aeneam, et Memnonem iubet accersi, ut illi in pugnam prodirent: in pugnam misit. Hector ut ista cognouit, multum increpans Andromacham, arma ut proferret poposcit, nec retineri ullo modo potuit. Moesta Andromacha summissis capillis Astyanactem filium protendens ante pedes Hectoris eum reuocare non potuit. Tunc planctu femineo oppidum concitat, ad Priamum in regiam currit, refert quid in somnis uiderit, et Hectorem uelle in pugnam prodire, nec posse proiecto ad genua filio suo reuocari. Priamus omnes in pugnam prodire iussit, et Hectorem retinuit. Agamemnon, Diomedes, Achilles, Aiax Locrus, ut uidere Hectorem non prodisse, acriter pugnauerunt, multosque duces Troianorum occiderunt. Hector, ut audiuit tumultum in bello, et sine se Troianos laborare, prosiliit in bellum. Statimque Eioneum obtruncat, Iphinoum sauciat, Leonteum occidit, Stheneli femur iaculo figit: quem ut Achilles respexit et tot acerrimos duces ab eo interfectos, animum in illum dirigebat, ut illi obuius fieret. Considerabat enim Achilles, nisi Hectorem occideret, plures de Graecorum numero eius dextera perituros. Multa millia hominum interea trucidantur. Acre praelium colliditur. Hector Polypoetem ducem fortissimum occidit: et cum spoliare coepisset, Achilles superuenit. Fit pugna maior, et clamor ab oppido et a toto surgit exercitu. Hector Achillis femur sauciat. Ille dolore accepto, magis eum persequi coepit, nec destitit nisi occideret. Quo interemto Troianos in fugam uertit, et maxima caede eos usque ad portam fugauit.

Ditti, Ephemerides belli Troiani, III, 15:
Nec multi transacti dies, quum repente nunciatur, Hectorem obviam Penthesileae cum paucis profectum : quae regina Amazonum, incertum pretio an bellandi cupidine auxiliatum Priamo adventaverat […] Igitur Achilles paucis fidis adjunctis secum insidiatum propere pergit atque hostem securum sui praevortit : tum ingredi flumen occipientem circumvenit : ita eumque et omnes qui comites regulo dolum hujusmodi ignoraverant ex improviso interficit.

Anonimo, Istorie de Troia e de Roma16, 380-381:
Infra quello tempo Andromaca, molie de Ettor, vide per sonno Ettor morire ne la vattalia. E disse ad Ettor che non gisse alla vattalia. E quello prese la paravola sì como da femina. Andromaca con granne dolore mannao a Priamo che Ettor non annasse alla vattalia. Li Troiani annaro alia vattalia senza Ettor, e li Greci li misero in fuga et assagi ne occisero. Ma pertanto fecero capitanei questi: Pari, Troylus et Elenus et altri presori. E fecero granne vattalie, e li Troiani perdiero. Et Ettor lo odio; per nulla razzone nullo omo lo potte tenere de annare alla vattalia. Andromaca prese lo filio Antianasta per li capelli e puserollo alii pedi de Ettore e levao granne planto de femine, e disse: Occidilo et occidi noi, et annaosenne allo patre de Ettore. Priamus odio che Ettor era gito alla vattalia, commannao a tutti li Troiani devessero annare alla vattalia. Agamenon, Diomedes, Acilles, Aiax Locrius vennero alla vattali[a]. Là dove era Ettor, essi nulla cosa valeano, e dove era esso li Troiani venceano. Ettor in quella vattalia ocise Idomeum, ferio Ipitum, occise Leuconem, traforao Stelenum. Acilles vide questi duca occisi e feruti, commensao forte a commattere ne la vattalia. Et Ettor occise Policronem, uno duca forte, e voleali trare le arme. Acilles li soprebenne e fece terribile vattalia con esso. Et Ettor forte ferio Acilles ne la cossa. E feruto, Acilles fece plus forte vattalia con esso fi che lo occise. Ettor morto, tutti li Troiani fugero,e li Greci li incalsaro fi alle porte de Troia.

[Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose,164:
Coment Hector nafra Achillès en la cuisse.
Quant Achillès vit les grans merveilles que Hector faisoit et que il lor tolloit trestous lor princes, si pensa que se il vivoit longuement, que tous seroient livrez a doulor ; et por ce laissa toutes autres choses et dit que il n’entendra fors a lui et que jamais n’avroit joie se il de lui n’est délivres. Mais Hector a tant fait par son esfort que il a toute la bataille remuée et a si revigorez les siens que tous sont issu hors de la ville. Si ne vit onques nus hons si fiere mortalité, si crient par la cité et as tentes en tel manière que il semble que li siècles doive finer, si est tous li chans jonchiez de mors. Un riche duc i avoit, Polibetès ot non, qui de moût grant pooir estoit et bons chevaliers a devise, ne onques nus hons ne vit si bel armes come il avoit, quar son garnement estoit de fin or tout covert et de pieres preciouses. Si l’amoit moût Achillès, por ce que sa seror li devoit doner a feme, si avoit fait le jor grant domage as Troïens, come celui qui merveillous chevaliers estoit de sa main. Mais Hector le consuit et le feri de son branc, si que jusques es dens le fendi. Et quant il vit son garniment si bel, si le desirra a avoir et li voloit oster. Mais Achillès i vint, qui moût asprement le defendi, si i ot sus le cors merveillouse bataille, quar Hector et Achillès ne se feignoient mie d’ocirre l’un l’autre. Si prist Hector une espee trenchant et en feri Achillès en mi la cuisse et li fist une grant plaie. Lors se retraistrent les plesours arieres. Achillès fu a merveilles courouciés et bien le demoustra. Mais toutes voies fist il ses plaies bender d’une enseigne et retorna arieres en la bataille ensi nafrés, moût durement fellon. Si ageite Hector et dit que miaus aime morir que vivre se il ne l’ocist. La bataille estoit moût dure et perillouse, si avoit Hector abatu un roi et le tenoit par la ventaille por traire le hors de la preisse, et si estoit descovert de son escu. Et quant le cuivert l’aparçoit, qui n’entendoit a autre chose, si vait droit celle part et broiche le cheval et le fiert si que li haubers ne le pot garantir que il ne li espandist le fege et le polmon, et le tresbucha mort a la terre tout envers.

L’Ottimo Commento alla Commedia (1333)17, ad Inf., IV, 122:
Ettor, com’è detto, fu il primogenito di Priamo, uomo bellissimo del corpo, e valentissimo d’arme, il quale nella guerra troiana vinse molti principi de’ Greci, intra quali fu Protesilao, il marito della casta Laodamia d’Emonia, e Patrocolo l’amico d’Achille e Antiloco, e Peteo, e Protenore, Emone, Alcmeone, Epistrofo, Sisifo, Piroo, Stenelo, Polisseno, e ultimamente Polimeone duca fortissimo; al quale, dispogliandoli le bellissime armi, Achille sopravenne, e quivi uccise Ettor. Dicesi che vi usòe tradimento, se tradimento si può dire quando l’uno nemico combatte a pieno campo con l’altro; la cui vita fu sì utile alli Troiani, che infino a qui con nulla paura combatteano, e la cui morte fu sì utile alli Greci, che poi tennero continova speranza di vincere.

Giovanni Boccaccio, Esposizione litterale della Commedia18, ad loc.:
Pantasilea fu valorosa donna e governò bene il suo regno; e, avendo udito il valor di Ettore, disiderò d’avere alcuna figliuola di lui19, e per cattare l’amore e la benivolenza sua, con gran moltitudine delle sue femine contro a’ Greci venne in aiuto de’ Troiani; ma non poté quello che disiderava adempiere, per ciò che trovò, quando giunse, Ettore esser già morto. Ma nondimeno mirabilmente più volte per la salute di Troia combatté; alfine combattendo fu uccisa.

Cristoforo Landino, Commento sopra la Comedia di Dante Alighieri, Firenze, 1481, ad loc.: Hectorre fu figluolo di Priamo, et di tanta virtù, che quasi lui solo fu cagione che Troia si difendessi dieci anni. Et dopo molte excellentissime pruove, secondo Homero et gli altri scriptori che seguitano Homero, fu morto da Achille. Ma Dione Chrisostomo20, sommo philosopho et diligente investighatore dell’antichità, dimostra et per le historie de gli Egyptii, et per molti segni, che non Acchille Hectorre, ma Hectorre Achille uccidessi. Et Troia non essere stata distructa da’ Greci, ma e’ Greci ropti et in gran parte consumpti da’ Troiani.

Che Virgilio e Dante non avvicinino Enea senza darne alcuna spiegazione lascia certo perplessi: possibile che Dante non ne manifesti neppure il desiderio? Certo, di lui già Virgilio aveva detto tutto e nel miglior modo possibile nel suo poema; e lo aveva confermato quando si era fatto riconoscere, in Inferno, I, 74:

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.

È evidente che non intendiamo minimamente affrontare la questione del tradimento di Troia sul piano storico, ma esclusivamente sul piano letterario; e anche su questo piano, se schematicamente dovessimo esprimere una scelta, ci adegueremmo senza esitare alla tesi che fu già di Virgilio e di Dante e dei commenti alla Commedia: che tradimento ci fu e che la responsabilità ricade tutta su Antenore. Questa considerazione non ci esime tuttavia dall’impegno di indagare ogni altra testimonianza degna di attenzione; perciò torniamo brevemente sulle parole che Virgilio pone sulle labbra dello stesso Enea a proposito di Rifeo: iustissimus unus / qui fuit in Teucris et servantissimus aequi (Aen., II, 426). Virgilio stesso quindi pone il pressoché ignoto Rifeo su un piano esplicitamente superiore a quello del suo pio eroe, e Dante lo segue: ma se escludiamo da questa valutazione il tradimento della città, cos’altro rende Enea inferiore al suo modesto compagno dell’ultima notte fatale? Oltre quella infamante accusa, mai veramente dimenticata, il Medioevo gravò Enea di un fardello ancora più pesante: per accedere agli Inferi era necessario un sacrificio umano, ed Enea non avrebbe esitato a compierlo facendone vittime Miseno e Creusa!21 Anche a Virgilio, di conseguenza, viene imputato il mendacio, e a Dante la reticenza22.

Noi qui ci limiteremo a valutare se le conoscenze di Dante su Darete e Ditti e i loro imitatori medievali comprendano altri riferimenti negativi ad Enea. Egli ci appare una sorta di Dorian Gray, un personaggio bifronte dal comportamento sconcertante, tardivamente nobile e punito con l’esilio per il suo comportamento nei confronti di Polissena, cinico e perfido nei confronti di Polidoro. Ne forniamo lettura, per Polissena, con l’originale di Darete e alcune delle imitazioni medievali; per Polidoro, l’episodio è narrato dal solo Ditti nella parte iniziale della sua opera, per la quale egli non è oggetto di rifacimenti.

Darete, De excidio Troiae, 41-42:
Hecuba dum fugit cum Polyxena Aeneae occurrit, Polyxenam tradit ei, quam Aeneas ad patrem Anchisen abscondit. […] Ut dies profectionis advenit, tempestates magnae exortae sunt, et per aliquot dies remanserunt. Calchas respondit inferis satis factum non esse. Neoptolemo in mentem venit Polyxenam, cuius causa pater eius perierat, in regia non esse inventam. Agamemnonem poscit conqueritur, exercitum accusat. Antenorem accersiri iubet imperatque ei ut inquirat eam inventamque ad se adducat. Antenor ad Aeneam venit et diligentius quaerit ut priusquam Argivi proficiscantur, Polyxena Agamemnoni praesentetur. Polyxenam ab eis absconsam invenit, ad Agamemnonem adducit. Agamemnon Neoptolemo tradit, is eam ad tumulum patris iugulat. Agamemnon iratus Aeneae quod Polyxenam absconderat, eum cum suis protinus de patria excedere iubet. Aeneas cum suis omnibus proficiscitur.

Iscano, Daretis Ylias, VI, 870-881:
Iam votis tumulisque modus, classisque novata Equoreum sulcabat iter, rotat obvius ecce
Auster aquas, geminasque hiemes, et flamina et imbres, Tempestas inopina movet. Monet augur ituros Nondum placatis iterare piacula divis.
Iussa duces obeunt. Memorique Polixena Pirro Non inventa subit, frendit Frigiosque lacessit Efferus. Hanc thalamis Hecuba tradente paternis Dux Anchisiades absconderat. O scelus ingens ! Redditur invisis infelix preda Pelasgis.
At, licet haut equas, servata virgine penas Exul agi iussus Eneas pendit et usus
Puppe bis undena, quas predo duxerat alnos Dardanus, exilii comites habet. Urbe potitur Anthenor regnique decus rex lectus adauget.

Anonimo, Istorie de Troia e de Roma, 386-387:
Eccuba e Polissena fugero: et accommannao Polissena ad Eneas. Et Eneas la fece nasconere allo patre Anchisas […] Et in quelli dii venne gran tempestate in Troia. Calcas fo uno sapio omo : disse alli Greci che facessero sacrificio alli dii de lo inferno. Pirrus li racordao Polissena, pro la quale fo occiso lo patre, che no’sse trovava. Agamenon commannao ad Antenor che trovasse Polissena. Antenor la trovao appo Eneas e menaola nanti alli Greci. Pirrus sopre la sepoltura de Acille decollao Polissena. Agamenon commannao incontenente ad Eneas che gessisse de tutta la tenuta de Troia. Eneas se’nne partio e lassao la terra ad Antenor.

[Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose, 57-58:
Et quant la reyne Ecuba vit Eneas qui la les avoit amenez, si dist : « Ha, traytres mauvés ! Car aies au moins pitié de Polixena que vez ci, que Grizois n’en soient seigneurs, puis que tu n’as pitié de la grant mortalité que tu par ta trahison faiz faire ». Lors l’a prize Eneas et enportee paumee entre ses braz. Et quant tout ce fu fait que nos avons dit, si se voldrent mestre au chemin au retour, mes la mer estoit si felonesse et tant crieuse que il n’i ozerent entrer et firent par Calcas enquerre que ce pooit estre. Si leur dist Calcas que la mer en pés ne seroit devant que Polixena fust ocise et l’ame de Achillés vengiee. Si l’ont enquize et demandee, et ont trouvé que Eneas l’avoit; adonc la prist Neptolemus et la detrencha sus le tombel Achillés son pere.

Ditti, Ephemerides belli Troiani, II, 26:
Adversum quem (Menelaum) Aeneas : « ac ne haec quidem, ait, concedentur contradicente ac resistente me reliquisque […] neque amisso Polydoro orbitas Priamum insequetur tot talibusque filiis superstitibus ». Talibus invicem consumptis verbis legati consilio abeunt. Ac mox per populum disseminatis quae adversum legatos Aeneas dixerat, tumultus oritur scilicet per eum universam Priami domum odio regni eius pessimo intercedendi exemplo eversum iri.

In un caso il tardivo e purtroppo vano ravvedimento di Enea, nell’altro le parole inutilmente crudeli e ciniche su Priamo e sul figlioletto, se pervenute a Dante anche in un rifacimento più recente, potrebbero spiegare qualche sua perplessità sulla giustizia dell’eroe.

Per quanto riguarda Pentesilea, c’è più di un motivo perché sia da Dante vista al fianco degli altri personaggi ‘troiani’: il più ovvio è che ella era accorsa al fianco di Priamo per difendere inutilmente ma valorosamente la città. Con lei, ovviamente, Ettore ed Enea, ma anche la vergine Camilla, un tempo nemica di Enea, ma ora compartecipe della legittimità dell’impero di Roma fondato da Cesare.

Virgilio ce ne parla due volte: quando Enea la vede combattere furiosamente in uno dei quadri del tempio di Giunone, e quando le viene appunto paragonata Camilla. Nel primo passo23, l’epiteto furens non pare naturalmente idoneo a destare ammirazione nel lettore, e se ci si limita alle spiegazioni di Servio, esse sono insufficienti a capire perché Virgilio e Dante trovino perfettamente naturale la collocazione di Pentesilea nel Limbo; nel secondo24 troviamo poco più che il pur importante affiancamento delle due eroine. Se escludiamo le fonti greche e latine che ci dicono qualcosa della sconcertante relazione con Achille, ci parlano di Pentesilea Ovidio, Properzio e Igino25: i primi due in modo metaforico, il mitografo solo per includerla tra i Troiani uccisi da Achille.

Alla tacita ma evidente ammirazione di Dante dà sostegno nella maniera più chiara il Boccaccio, in un ritratto del De claris mulieribus26 e nell’Esposizione27. Da chi essi potevano aver tratto qualche spunto per un ritratto così esaltante dell’eroina?

Non restano che Ditti e Darete. Il primo, pur ammettendone il valore, la fa morire per mano di Achille, vile con lei come con Ettore; e accusandola infondatamente di avidità, ne giustifica la fine così ingloriosa decretata da Diomede, con motivazioni analoghe a quelle di Servio e pienamente in linea con la misoginia greca. Anche Achille troppo debolmente si oppone alla infame decisione, mentre avrebbe potuto imporre il suo diritto di vincitore del duello finale. Il secondo ne fa una vittima di Neottolemo, in contraddizione con tutte le altre testimonianze classiche. Ma gli imitatori medievali lo seguono, parteggiando nettamente per la bella e sfortunata regina: e con una felice aggiunta Benoît de Sainte-Maure ne fa recuperare la salma che Pilemene, salvato in battaglia da lei e forse anch’egli innamorato, provvederà a far seppellire nella sua patria con tutti gli onori. La nostra selezione di passi include, oltre Ditti e Darete, il Roman de Troie en prose.

Ditti, Ephemerides belli Troiani, III, 15 e, di seguito, IV, 2-3:
Nec multi transacti dies, quum repente nunciatur, Hectorem obuiam Penthesileae cum paucis profectum: quae regina Amazonum, incertum pretio an bellandi cupidine auxiliatum Priamo aduentauerat. Gens bellatrix, et ob id ad finitimos indomita, specie armorum inclyta per mortales. Igitur Achilles paucis fidis adiunctis secum, insidiatum propere pergit, atque hostem securum sui praeuortit: tum ingredi flumen occipientem, circumuenit: ita eumque et omnes qui comites regulo, dolum huiusmodi ignorauerant, ex improuiso interficit: at quendam filiorum Priami comprehensum, mox excisis manibus ad ciuitatem remittit, nunciatum quae gesta erant. […]
Interim per eosdem dies Penthesilea, de qua ante memorauimus, cum magna Amazonum manu reliquisque ex finitimo populis superuenit. Quae postquam interemptum Hectorem cognouit, perculsa morte eius, regredi domum cupiens, ad postremum multo auro atque argento ab Alexandro illecta, ibidem opperiri decreuerat. Dein exactis aliquot diebus, copias suas armis instruit, ac seorsum a Troianis ipsa suis modo bellatoribus satis fidens in pugnam pergit, cornu dextro sagittariis, altero peditibus instructo, medios equites collocat : in queis ipsa […] Hoc modo instructo utrimque exercitu, conflixere acies: caduntque sagittis reginae plurimi, neque ab Teucris secus bellatum. […] Achilles inter equitum turmas Penthesileam nactus, hasta petit: neque difficilius quam foeminam equo deturbat, manu comprehendens comam, atque ita grauiter uulneratam detrahens. Quod ubi uisum est, tum uero nullam spem in armis rati, fugam faciunt. Clausisque ciuitatis portis, nostri reliquos quos fuga bello exemerat, insecuti obtruncant: foeminis tamen abstinentes manus parcentesque sexui. Dein uti quisque uictor interfectis quos aduersum ierat, regrediebatur, Penthesileam uisere seminecem etiam nunc admirarique audaciam. Ita breui ab omnibus in eundem locum concursum, placitumque uti quoniam naturae sexusque conditionem superare ausa esset, in fluuium, reliquo adhuc ad persentiendum spiritu, aut canibus dilanianda iaceretur. Achilles interfectam eam sepelire cupiens, mox a Diomede prohibitus est. Is namque percontatus circumstantes, quidnam de ea faciendum esset, consensu omnium pedibus attractam in Scamandrum praecipitat; scilicet poena postremae desperationis atque amentiae. Hoc modo Amazonum regina deletis copiis, quibuscum auxiliatum Priamo uenerat, ad postremum ipsa spectaculum dignum moribus suis praebuit.

Darete, De excidio Troiae, 36:
Postera die Agamemnon coepit exercitum ante portam instruere, et Dardanos in praelium prouocare. Priamus subsistere, urbem munire et quiescere usque dum Penthesilea cum Amazonibus superueniret. Penthesilea postea superuenit, et exercitum contra Argiuos eduxit: fit praelium ingens, per aliquot dies pugnatur. Argiui in castris opprimuntur. Cui uix Diomedes obstitit: alioqui castra uastasset, naues incendisset Argiuorum, et uniuersum exercitum deuastasset. Praelio diremto Agamemnon suos in castris retinet. Interim Penthesilea prodit quotidieque deuastat Argiuos, in bellum prouocat. Agamemnon ex consilio castra munit tueturque, et in bellum non prodit, usque dum aduenit Menelaus cum Neoptolemo. Neoptolemus ut aduenit patris sui arma accipit, circa patris tumulum lamentatur clamore magno. Penthesilea ex consuetudine aciem instruit, et prodit usque ad castra Argiuorum. Prodit Neoptolemus, Myrmidonas instruit, et contra educit. Agamemnon exercitum instruit: acriter ambo concurrunt. Neoptolemus stragem facit: Penthesilea occurrit, fortiter cominus stetit. Dum per aliquot dies acriter pugnauerunt, ambo multos occiderunt. Penthesilea Neoptolemum sauciat. Ille, dolore accepto, Amazonum ductricem Penthesileam obtruncat.

[Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose, 54:
Moult se pena Anthenor d’avoir le cors a la reyne Pantislee ; si li ostroierent a trop grant poine […] Et ceus qui furent alez les cors cerchier et ardoir, si estoient ja revenuz et avoient aporté Glanchum le fil Anthenor, et Pantislee qui avoit esté treste dou flun. Lors fu Glancus molt honorablement enterrez et la reyne Pantislee fu enbasmee tres bien, car li roys Philemenis l’en fera porter en son pais, se pés se fet.
Accanto ad Ettore non c’è nel Limbo la pur fedele e amata Andromaca, ma la Pentesilea che giunge innamorata a Troia quando Ettore è appena morto per il vile agguato di Achille, e che decide comunque di restare per affrontare chi lo ha ucciso e morire anch’ella: se Dante ha disposto di queste fonti, la sua ammirazione è pienamente fondata.

2.  Achille e Polissena, Elena e Paride

Inf., V, 64-69:
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.

Tra i lussuriosi, prima del famoso incontro con Paolo e Francesca, Dante si vede indicare altri famosi dannati, tre dei quali sono personaggi di primo piano nel mito di Troia. Sono Elena, Achille e Paride, le cui vicende d’amore coinvolgono variamente anche altri personaggi.

La maggioranza dei critici mette in relazione la condanna di Achille tra i lussuriosi con la vicenda che lo lega a Polissena, l’ultima e bellissima figlia di Priamo ed Ecuba, che determinò involontariamente la sua morte. Ma tale motivazione è insufficiente: i due non si sfiorarono neppure, e il loro fu un amore da dolce stil novo, la cui castità è sottolineata da tutti gli autori, classici e medievali, che se ne sono occupati: ad Achille vanno imputati ben altri peccati di lussuria, da valutare ovviamente alla luce dell’etica cristiana medievale.

Forse indotto dalla grazia dell’Achilleide, Dante non appare scandalizzato dalla precoce relazione dell’eroe con Deidamia, la figlia di Licomede: anzi ha per lei parole di simpatia, sia in Inf., XXVI, 62, che in Purg., XXII, 112, e certo la giovanissima età riduceva di molto la gravità della colpa, che i commentatori invece gli ascrivono spesso in pieno.

Ma non poteva darsi altrettanto per le successive passioni che lo avevano travolto: Briseide, Polissena appunto, e magari Elena, delle quali a Dante poteva esser giunta notizia: dal ‘matrimonio’ con Deidamia era stato concepito Neottolemo, e le altre storie non avrebbero dovuto trovare alcuno spazio nel cuore del fatuo eroe, come ricordavano i moralisti cristiani ostili ai miti pagani.

E c’erano poi le relazioni omosessuali con Patroclo e Troilo28, che avrebbero costretto Achille alla stessa pena di Brunetto Latini se non fossero state accompagnate dalle altre colpe d’amore: e Dante ne trovava conferma in un passo del Roman de Troie senza alcun precedente in Darete o Ditti, tipicamente medievale e dai risvolti cavallereschi ma inequivoci: Ettore respinge come falsa quella diceria, ma la considera infamante.

[Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose, 135-136:
Si come Achillès ala veoir Hector. Achillès ala veoir Hector lui et sa compaignie, et Hector et les siens vindrent encontre lui, et salua li uns l’autre. La veïssiés de chascune part grant richeces de biauz chevauz et de dras de soie et d’or. Si furent sus une rivière li uns d’une part et li autre d’autre et se firent moût beau semblant selonc gens qui henemis estoient. Si parla premierement Achillès et dist a Hector : « Biau sire, voirs est que je ne vous vi onques se armé non. Et si demoustrés si bien vostre proësce vers moi que bien puis dire que mavaise amor me moustrés. Et certes mes armes le tesmoignent, qui sovent sont desmaillees par les cos de vostre espee, que mainte fois s’est ja moillee de mon sanc; si puis bien estre certain de mort, se de vos ne me puis defendre, que tant se moustre vostre fellon cuer envers moi que il me semble que vos n’aies nul autre henemi. Et moût avés doné en mon cuer grant duel de Patroclus, que vos oceïstes, dou quel jamais la dolour n’oblierai. Il estoit la chose au monde que je plus amoie, dont vos m’avés tollue la conpaignie. Mais se je puis, je vos en ferai repentir ; mais ce sera a tart, quar miaux ameroie estre mort que je mon pooir n’en face de lui vengier. Et ce vos mousterai je bien, se nos maintenons longement la guerre. Et por ce ne vos fiés en moi, quar vostre lance, dont vos mon chier ami oceïstes, toicha jusques a mon cuer. Por quoi je vos di que je porpence chascun jor de faire vostre vie finer par mes mains, ou je porte vostre mort. De ce ne poés eschaper que je ne confonde le grant pooir qui en vos est; et ce sera prochainement, se Dieuz plaist.
Coment Hector respont a Achillès. Hetor qui moût estoit sages et amesurés, li respondi tout en riant moût simplement et dit : « Sire Achillès, se je sui vostre henemi, ce n’est pas de merveilles, quar vos savés que de guerre ne vint pas amor. Et si devés savoir que, quant il me sovient que vos me volez desirreter et occirre, que je en sui moût dolent. Por coi je vos di que ce seroit mout grant contraire se je fusse vostre amis. Quar quant il me menbre coment vos feïstes vostre pooir de moi desireter, dont je sui tant espris d’ire et de mautalent, que tous li cors me tressue et trenble d’angoisse, et ne poroie dire la mesaise que je ai en mon cuer. Mais se je puis longement vivre, assés en ferai a vos et a tout le plus fort de vostre compaignie. Et non porquant, si ai je dit come vileins, quar manacier ne partint pas a franc cuer, et meïsment entre nous covient user plus ouvres que parolles. Et por ce vos di je que li poins en est venus, se vos avés tant de proësce en vos come vos demoustrés ici par semblant, et se vos avés talent de vengier Patroclus que vos tant amastes, de quele amor aucune folles gens distrent cruel vilenie, la quel chose je ne vossice por amor de vos por mil mars d’or que ce fust voirs. Mais tout ce laissons ester, et vos soies cortois et vaillans et vos conbatés a moi cors a cors por la vostre partie, et je por la moie, quar a nos dous apent li afaires. Et ensi porons saver la vie maintes gens qui n’ont pas deservi a morir. Et por ceste achoison, se vos me poés outrer d’armes, je vos laisserai la terre et tout le reaume, et de cen vos ferai je bien seùr. Et se je vos puis outrer d’armes, autre chose ne vos demant, mais que seulement me quités ma terre sens plus. Et se moi semble que vos ce ne devés refuser, quar ensi doit uns frans hons user et vengier soi de son henemi. Et puis, se vos me conquerés en champ, tout vostre pris en sera doublés.

E tuttavia gli strani amori di Achille non finiscono qui. Prima di Polissena dobbiamo tornare a parlare di Pentesilea, la bella eroina innamorata di Ettore, alla cui storia abbiamo da poco accennato. La vicenda è ben nota nel mondo greco, risale addirittura al ciclo omerico ed è stata variamente raccontata da molti autori29: dopo averla ferita mortalmente Achille, travolto da un vero e proprio raptus, avrebbe abusato di lei sotto lo sguardo sbigottito di Greci e Troiani, suscitando lo sdegno di Tersite, poi ucciso con un pugno. Le fonti greche indicate in nota erano ovviamente inaccessibili a Dante, ma tra quelle latine non poteva ignorare i commenti di Servio ad Aen., I, 490, già in parte riferito, nè quello a XI, 65730.

C’è da aggiungere che nè Ditti né Darete riferiscono alcunché di particolari così scabrosi, e naturalmente lo stesso vale per i loro imitatori medievali. Ma c’è ora da rendere giustizia al lussurioso Achille, descrivendo la sua romantica e pudica storia con Polissena.

Se abbiamo meglio compreso i motivi della condanna di Achille tra i lussuriosi, resta da chiarire attraverso quali tramiti la loro storia, dalle varianti numerose e complesse, sia arrivata a Dante. Diversamente da Omero, che non ne fa cenno, il ciclo epico31 riferiva del sacrificio di Polissena sulla tomba dell’eroe; più tardi, sulla scia dell’Ecuba euripidea, Virgilio32 e soprattutto Ovidio33 collegarono i due a Polidoro e alla infelice madre, senza però accennare mai all’amore tra l’eroe e la bella principessa. Escludendo ovviamente le fonti greche34 e Seneca tragico, oltre ai due poeti augustei e ai loro commentatori Dante disponeva anche della Fabula 110 di Igino35.

Le varie versioni della vicenda contenute nel commento di Servio sono sostanzialmente quelle dei due diversi ma paralleli racconti di Ditti (del quale ci è pervenuto, su frammento papiraceo, anche l’originale greco) e Darete, e dei loro imitatori medievali. E sono appunto queste la base dei commenti al passo dantesco, che sovente li citano36, quasi sempre ne ripetono il racconto e magari li contaminano.

Riportiamo i brani relativi al primo contatto tra i due innamorati e quelli sulla morte di Achille. Le differenze sono comunque considerevoli, ma si tenga conto che per gli imitatori medievali, se se ne escluda Iscano, ispirato al solo Darete, questi sarà modello per il primo argomento, Ditti per il secondo.

Darete, De excidio Troiae, 27:
Postquam dies anni uenit quo Hector sepultus est, Priamus et Hecuba et Polyxena, ceterique Troiani, ad sepulcrum eius profecti sunt. Quibus obuius fit Achilles, Polyxenam contemplatur, figit animum, amare eam uehementer coepit. Tunc ardore impulsus, odiosam uitam in amore consumere coepit, et aegre ferebat ademtum imperium Agamemnoni, sibique Palamedem praepositum. Amore cogente, Phrygio seruo fidelissimo mandata dat ferenda ad Hecubam: et ab ea sibi uxorem poscit: hoc si fecerit, se cum suis Myrmidonibus domum rediturum. Quod cum ipse fecerit, ceteros quoque idem facturos. Seruus proficiscitur, ad Hecubam uenit, mandata dicit: Hecuba respondit se uelle, sed si Priamo uiro suo placeat: dum ipsa cum Priamo agat, seruus reuerti iubetur: seruus quod egisset Achilli nuntiat. Agamemnon cum magno commeatu ad castra reuertitur. Hecuba cum Priamo de conditione Achillis loquitur. Priamus respondit, fieri non posse: non ideo quod eum affinitate indignum existimet; sed si ei dederit, et ille discesserit, ceteros non discessuros: et iniquum esse, filiam suam hosti iungere. Quapropter si id fieri uellet, pax perpetua fiat, et exercitus discedat, foederis iura sanciantur. Si id factum sit, se ei libenter filiam daturum. Itaque cum seruus ad Hecubam missus esset ab Achille, eadem Hecuba quae cum Priamo egerat seruo dicit: seruus Achilli nuntiat: Achilles uulgo queritur, unius mulieris Helenae causa totam Graeciam et Europam aduocatam esse, tanto tempore tot millia hominum periisse; tot pericula adiri; libertatem in ancipiti esse: unde fieri pacem debere, exercitus recedere. Annus circumactus est.

Ditti, Ephemerides belli Troiani, III, 20-27:
20. At lucis principio, Priamus lugubri ueste miserabile tectus, cui dolor, non decus regium, non ullam tanti nominis atque famae speciem reliquam fecerat, manibus uultuque supplicibus
ad Achillem uenit : quocum Andromacha, non minor quam in Priamo miseratio : ea quippe deformata multiplici modo, Astyanacta, quem nonnulli Scamandrium appellabant, et Laodamanta, paruulos admodum filios prae se habens, regi adiumentum deprecandi aderat, qui maeroribus senioque decrepitus filiae Polyxenae humeris innitebatur: sequebantur uehicula plena auri atque argenti preciosaeque uestis […] 24. Dein consiliatum cum supradictis ducibus surgit : queis omnibus una atque eadem sententia est, scilicet uti acceptis quae allata essent, corpus exanime concederet : quod ubi satis placuit, singuli ad sua tentoria discedunt. Moxque Polyxena ingresso Achille obuoluta genibus eius, sponte seruitium sui pro absolutione cadaueris pollicetur. Quo spectaculo adeo commotus iuuenis, ut qui inimicissimus ob mortem Patrocli Priamo, eiusque regno esset, tum recordatione filiae, ac parentis, ne lacrimis quidem temperauerit. Itaque manu oblata, Polyxenam erigit, praedicta prius, mandataque cura Phoenici super Priamo […] 27. Dein omnia, quae ad redimendum filium aduecta erant, ante conspectum iuuenis exponi imperat : ex queis, quidquid auri atque argenti fuit, tolli Achilles iubet : uestis etiam, quod ei uisum est, reliquis in unum collectis Polyxenam donat, et cadauer tradit. Quo recepto, rex in gratiamne impetrati funeris, an si quid Troiae accideret, securus iam filiae, amplexus Achillis genua, orat, uti Polyxenam suscipiat, sibique habeat : super qua iuuenis aliud tempus, atque alium locum tractatumque fore respondit; interim cum eo reuerti iubet. Ita Priamus recepto Hectoris cadauere, ascensoque uehiculo, cum his qui se comitati erant, ad Troiam redit.

Ed ecco come gli stessi autori narrano la morte di Achille.

Darete, De excidio Troiae, 34:
Hecuba maesta quod duo filii eius fortissimi Hector et Troilus ab Achille interfecti essent,consilium muliebre temerarium iniit ad ulciscendum dolorem. Alexandrum filium arcessit orat hortatur, ut se et fratres suos vindicaret, insidias Achilli faceret et eum nec opinantem occidat: quoniam ad se miserit et rogaverit ut sibi Polyxenam daret in matrimonium: se ad eum missuram Priami verbis, pacem inter se foedusque firment constituant in fano Apollinis Thymbraei, quod est ante portam: eo Achillem venturum, conlocuturum ibique se illi insidias collocare, satis sibi victum esse si eum occideret. Quod temptaturum se Alexander promisit. Noctu de exercitu eliguntur fortissimi, et in fano Apollinis collocantur, signum accipiunt. Hecuba ad Achillem, sicuti condixerat, nuntium mittit. Achilles laetus Polyxenam amans postera die ad fanum se venturum constituit. Interea Achilles sequenti die cum Antilocho Nestoris filio ad constitutum veniunt simulque fanum Apollinis ingrediuntur, undique ex insidiis occurrunt, tela coniiciunt: Paris hortatur. Achilles cum Antilocho, brachio sinistro chlamyde involuto, enses dextra tenentes impetum faciunt. Exinde Achilles multos occidit. Alexander Antilochum interimit ipsumque Achillem multis plagis confodit. Ita Achilles animam ex insidiis nequiquam fortiter faciens amisit. Quem Alexander feris et volucribus proici iubet. Hoc ne faciat Helenus rogat, tunc eos de fano eici iubet et suis tradi: quorum corpora accepta Argivi in castra ferunt. Agamemnon eos magnifico funere effert Achillique sepulchrum ut faciat, a Priamo indutias petit ibique ludos funebres facit.

Ditti, Ephemerides belli Troiani, IV, 10:
Deinde transactis paucis diebus solemne Thymbraei Apollinis incessit et requies bellandi per indutias interposita: tum utroque exercitu sacrificio insistente, Priamus tempus nactus Idaeum ad Achillem super Polyxena cum mandatis mittit. Sed ubi Achilles in luco ea, quae perlata erant tum ab Idaeo separatim ab aliis recognoscit, cognita re apud naues, suspicio alienati ducis et ad postremum indignatio exorta. Namque antea rumorem proditionis ortum clementer per exercitum in uerum traxerant. Ob quae, simul uti concitatus militis animus leniretur, Aiax cum Diomede et Ulysse ad lucum pergunt. Hique ante templum resistunt, opperientes si egrederetur Achillem simulque uti rem gestam iuueni referrent; de caetero etiam deterrerent
in colloquio clam cum hostibus agere. Interim Alexander compositis iam cum Deiphobo insidiis pugionem cinctus ad Achillem ingreditur confirmator ueluti eorum quae Priamus pollicebatur moxque ad aram, quo ne hostis dolum persentisceret auersusque a duce, adsistit. Dein ubi tempus uisum est Deiphobus amplexus inermem iuuenem quippe in sacro Apollinis nihil hostile metuentem exosculari gratularique super his quae consensisset neque ab eo diuelli aut omittere, quoad Alexander librato gladio procurrensque aduersum hostem per utrumque latus geminato ictu transfigit. At ubi dissolutum uulneribus animaduertere, e parte alia quam uenerant proruunt, re ita maxima et super uota omnium perfecta, in ciuitatem recurrunt. Quos uisos Ulixes: «Non temere est, inquit, quod hi turbati ac trepidi repente prosiluere». Dein ingressi lucum circumspicientesque uniuersa animaduertunt Achillem stratum humi exsanguem atque etiam tum seminecem. Tum Aiax: «Fuit, inquit, confirmatum ac uerum per mortales, nullum hominum existere potuisse qui te uera uirtute superaret : sed, uti palam est, tua te inconsulta temeritas prodidit». Dein Achilles extremum adhuc retentans spiritum:
«Dolo me atque insidiis, inquit, Deiphobus atque Alexander Polyxenae gratia circumuenere». Tum exspirantem eum duces amplexi cum magno gemitu atque exosculati postremum salutant. Denique Aiax exanimem iam humeris sublatum e luco effert.

[Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose, 33:
Et en ce tans il estoit acompliz li ans que Hector avoit esté morz et enseveliz. Si en fesoient li Troyen grant celebrement et molt grant dolosement, et l’avoient mis hors de la sepolture, et estoit avis a touz cels qui le veoient que il eust esté tout nouvelement morz. Mes trop merveilleux grant duel en demenoient la reyne Ecuba, Polixena, Cassandra, et dame Helene, et toutes les autres dames et damoiseles, vieilles et joines, de la cité. Et pour regarder la tombe, et les dames et les damoiseles, i vindrent maint Griec, et bien i poaient venir seurement car les trives estoient molt bien plevies et d’une part et d’autre ; neis Achillés meimes i ala. Or oez quele destinee que si tost comme Achillés vit Polixena, il en fu si sorpris que il ne sot nul conseil de lui, et si li fu sa tres grant biauté et son gent demenement si entree ou cuer que il ot perdu toute force et tout hardement, et com plus la remiroit, et plus li abelissoit.

Anonimo, Istorie de Troia e de Roma, 384:
Ma pertanto Eccuba disse a Pari como devesse et occidere e tradire Pari Acilles. E mannao ad Acilles che devesse fare pace, e promiseli dare Polissena a molie. Acilles, molto preso de lo amore de Polissena, disse privato alli soi ca infra iii dii devea retornare allo pavillione. E prese Antilocus per suo companio, filio de Nestore, e gio allo templo de deo Apolinis che era nanti la porta de Troia, dove era Eccuba e Polissena, e Pari privatamente ne lo templo co li soi armati. Acilles et Antilocus gero sarmati et entraro dentro. Et Acilles, vedenno Pari, lo mantiello se involse brazo incontenente e co la spada ne occise presori. E Pari occise Antilocus e fece molte ferute ad Acilles, fi che li gessio l’anima. E comannao che le corpora forsero iettate alle bestie. Et Elenus, che stava ne lo templo, renneo le corpora de Acille e de Antiloco a li soi. Agamenon fece triegua e feceli sotterrare onoratamente, et allo sepulcro fece fare iocora de morte.

Pur se a Dante mancavano le fonti greche, quelle latine, e soprattutto l’Ovidio delle Heroides e delle Metamorfosi erano ampiamente sufficienti a conoscere la vicenda che legava i due ‘adulteri, Paride ed Elena’ e che aveva determinato la guerra tra Troiani ed Achei. Il loro inserimento nel girone dei lussuriosi non desta quindi alcuna sorpresa e, anche se il poeta poco aggiunge ai loro nomi, è probabile che egli ne conoscesse la storia anche nelle versioni medievali che avevano trasformato in veri e propri romans i racconti di Ditti e Darete37. Più il secondo che il primo: Ditti si attiene, da ‘Cretese’, alla versione omerico-virgiliana che li condanna senza appello, mentre Darete ‘Frigio’ ne prende in qualche modo le difese, facendoli ‘sposare’ da Priamo e fornendo di Paride un ritratto assai meno imbelle di quello tradizionalmente impostogli.

A Ditti dobbiamo però la radice (accanto ad Ovidio) di un altro romanzo, quello di Enone, che pure doveva essere ben noto a Dante. Il suo racconto, e quello parallelo, ma del tutto diverso, di Darete risolvono i dubbi di alcuni commentatori38 che pensano essere il Paride dantesco quello del ciclo brettone perché quello troiano non rientrerebbe come i suoi compagni tra le ombre «ch’Amor di nostra vita dipartille».

Riproponiamo qui i relativi passi dei due, con alcuni ampliamenti svolti in età medievale.

Darete, De excidio Troiae, 9-11:
Non multos ante dies, quam Alexander in Graeciam navigavit, et antequam insulam Cytheream accederet, Menelaus ad Nestorem Pylum proficiscens, Alexandro in itinere occurrit, et mirabatur classem regiam quo tenderet. Utrique occurrentes aspexerunt se invicem, inscii quo quisque iret. Castor et Pollux ad Clytaemnestram ierant, secum Hermionam neptem suam Helenae filiam adduxerant. Argis Iunonis dies festus erat his diebus, quibus Alexander in insulam Cytheream venit, ubi fanum Veneris erat: Dianae sacrificavit. Hi qui in insula erant mirabantur classem regiam, et interrogabant ab illis qui cum Alexandro venerant, qui essent, quid venissent. Responderunt illi a Priamo rege Alexandrum legatum missum ad Castorem et Pollucem, ut eos conveniret. At Helena vero, Menelai uxor, cum Alexander in insula Cytherea esset, placuit ei eo ire. Qua de causa ad littus processit. Oppidum ad mare est Helaea, ubi Dianae et Apollinis fanum est: ibi rem divinam Helena facere disposuerat. Quod ubi Alexandro nuntiatum est, Helenam ad mare venisse, conscius formae suae, in conspectu eius ambulare coepit, cupiens eam videre. Helenae nuntiatum est, Alexandrum Priami regis filium ad Helaeam oppidum, ubi ipsa erat, venisse. Quem etiam ipsa videre cupiebat. Et cum se utrique respexissent, ambo, forma sua incensi, tempus dederunt ut gratiam referrent. Alexander imperat, omnes ut in navibus sint parati: nocte classem solvant, de fano Helenam eripiant, secum eam auferant. Signo dato fanum invaserunt, Helenam non invitam eripiunt, in navem deferunt, et cum ea mulieres aliquas depraedantur. Quod cum Helenam abreptam oppidani vidissent, diu pugnaverunt cum Alexandro, ne Helenam eripere posset. Quos Alexander fretus sociorum multitudine superavit, fanum exspoliavit, homines secum quam plurimos captivos duxit, in navim imposuit, classem solvit, domum reverti disposuit, in portum Tenedon pervenit, ubi Helenam maestam alloquio mitigat, patri rei gestae nuntium mittit. […] Interea Alexander ad patrem suum cum praeda pervenit, et rei gestae ordinem refert. Priamus […] Helenam maestam consolatus est, et eam Alexandro coniugem dedit.

Ditti, Ephemerides belli Troiani, III, 26 e, di seguito, IV, 19-21:
III, 26. Tantae scilicet fuisse eum pulchritudinis atque formae: quem coniugio deinde Oenoni iunctum, cupidinem cepisse uisendi regiones, atque regna procul posita. Eo itinere abductam Helenam, urgente atque instigante quodam numine. […] IV,19. Tunc Philocteta progressus aduersus Alexandrum lacessit, si auderet, sagittario certamine. Ita concessu utriusque partis Ulisses atque Deiphobus spatium certaminis definiunt. Igitur primus Alexander incassum sagittam contendit, dein Philocteta insecutus sinistram manum hosti transfigit, reclamanti per dolorem dextrum oculum perforat, ac iam fugientem tertio consecutus uulnere per utrumque pedem traiicit, fatigatumque ad postremum interficit: quippe Herculis armatus sagittis, quae infectae hydrae sanguine, haud sine exitio corpori figebantur. […] IV, 21. Interim Alexandri funus per partem aliam portae ad Oenonem, quae ei ante Helenae raptum nupserat, necessarii sui uti sepeliretur perferunt. Sed fertur Oenonem uiso cadauere Alexandri, adeo commotam, uti amissa mente obstupefieret, ac paullatim per maerorem deficiente animo, concideret. Atque ita uno eodem funere cum Alexandro contegitur.

Anonimo, Istorie de Troia e de Roma, 378-379:
Quanno tulze Pari Elena. Ma pertanto Priamo fece parare li navi per Pari e Deifebus, Eneas, Polidamas et altri compangi, e miserosse ne li navi, et arrivao a Citer insola in Grecia. Et in quella die se celebrava la festa de dea Iunone ne lo templo de Diana et Apoline. Elena odio dicere ca ne lo porto era venuta una molto bella nave de Troia e ne la nave era Pari, filio de Priamo rege de Troia, ca avea odito dicere ca era molto bello omo. E vedenno che non b’era Menelao suo marito, e stava con Pilio Nestore suo cognato, prese compan[g]i e disse ca volea gire alla festa. Et annao nanti allo porto, che gisse alla festa per vedere la nave e Pari. E Pari, vedenno essa, incontenente fo preso a morte de lo amore de Elena. E la notte esso con li compangi soi descese de la nave e gio allo castiello dove stava Elena, e preselo per vattalia, e prese Elena e molti altri compangi con essa, e tornao alla nave e prese ‘n alto de lo mare. Et Elena stava molto trista ne la nave. E Pari, guardannoli che stava così trista, disse: Non avere pagura, ca io te sposaraio per mea molie. Poi revenne Menelao, dove stava Pilio Nestore. Et annarosenne dove era Agamenon, che regnava in Argia provincia e petioli adiuto ad esso et a tutti l’altri greci. E Pari infra quello tempo ionze a Troia; e Priamo vedenno Elena così bella, fecela sposare a Pari per soa mollie.

3.  Calcante (ed Euripilo)

Inf., XX, 106-114:
Allor mi disse: «Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
fu – quando Grecia fu di maschi vòta,
sì ch’a pena rimaser per le cune –
augure, e diede ’l punto con Calcanta i
n Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
l’alta mia tragedìa in alcun loco:
ben lo sai tu che la sai tutta quanta».

In realtà Dante non incontra tra gli indovini Calcante, ma Euripilo, ignoto in questa veste alla mitologia classica; ed è singolare che se lo faccia presentare da Virgilio, associandoli come presunte guide dei Greci nella spedizione contro Troia. Per di più, Dante viene elogiato dalla sua guida per la conoscenza dell’Eneide proprio in un punto in cui l’ha probabilmente fraintesa! Infatti, Euripilo in Aen., II, non riveste alcuna funzione sacerdotale né oracolare: è solo l’inviato dei Greci ad Apollo delfico per sapere come far cessare le tempeste che ostacolano, dopo la lunga guerra, la partenza dei Greci da Troia. Le chiare parole di Apollo saranno poi interpretate, come è ritualmente giusto, dal vates Calcante, che, sobillato da Ulisse, sceglie appunto Sinone come vittima designata. Ma Dante amplifica enormemente i compiti di Euripilo, ne fa l’indovino che già all’inizio della spedizione, insieme con Calcante, avrebbe dato metaforicamente il segnale di partenza alla flotta, dimenticando anche in questo caso che quelle parole erano parte del mendace racconto di Sinone a Priamo39. Probabilmente forzando il senso dell’Iliade, che si riferisce solo alle sue qualità divinatorie, Darete assegnava al vate un ruolo molto diverso.

Darete, De excidio Troiae, 15:
Postquam Athenas venerunt, Agamemnon duces in consilium vocat, conlaudat hortatur, ut quam primum iniurias suas defendant. Rogat, si cui quid placeat suadetque ut, antequam proficiscerentur, Delphos ad Apollinem consulendum mitterent: cui omnes adsentiunt. Cui rei praeficitur Achilles, hic cum Patroclo proficiscitur. Priamus interea, ut audivit quia hostes parati sunt, mittit per totam Phrygiam qui finitimos exercitus adducant, domique milites magno animo comparat. Achilles cum Delphos venisset, ad oraculum pergit: et ex adyto respondetur Graecos victuros, decimoque anno Troiam capturos. Achilles res divinas, sicut imperatum est, fecit. Et eo tempore venerat Calchas Thestore natus divinus. Dona pro Phrygibus a suo populo missus Apollini portabat, simul consuluit de regno rebusque suis. Huic ex adyto respondetur, ut cum Argivorum classe militum contra Troianos proficiscatur eosque sua intelligentia iuvet, neve inde prius discedant, quam Troia capta sit. Postquam in fanum ventum est, inter se Achilles et Calchas responsa contulerunt, gaudentes hospitio amicitiam confirmant, una Athenas proficiscuntur, perveniunt eo. Achilles eadem in consilio refert, Argivi gaudent, Calchantem secum recipiunt, classem solvunt. Cum eos ibi tempestates retinerent, Calchas ex augurio respondet uti revertantur et in Aulidem proficiscantur. Profecti perveniunt. Agamemnon Dianam placat dicitque sociis suis ut classem solvant, ad Troiam iter faciant. Utuntur duce Philocteta, qui cum Argonautis ad Troiam fuerat.

Egli sarebbe quindi troiano, un messo di Priamo, e in grado, con Filottete, di guidare i Greci per aver già compiuto in senso inverso la rotta da Troia a Delfi40. Da qui a farne un traditore, anche se per ordine di Apollo, il passo è breve, e questo è il ruolo che unanimemente gli assegnano gli imitatori medievali, mentre Ditti non si discosta sostanzialmente dalla tradizione omerico-virgiliana. Essi inoltre faranno di Calcante un vescovo e, soprattutto, sulla scia di Benoît de Sainte-Maure, il padre della Briseide-Criseide che intreccerà con Troilo e poi con Diomede la relazione amorosa variamente ripresa da Boccaccio, Chaucer e Shakespeare41.

I commentatori di Dante42 fanno ulteriore confusione: Jacopo Alighieri attribuisce ad Euripilo la responsabilità del sacrificio di Ifigenia in Aulide, facendone peraltro la figlia di Menelao; Pietro confonde ripetutamente Darete con Ditti e dice che vittima del sacrificio fu Polissena, figlia di Menelao; sulla stessa scia l’Ottimo, l’Anonimo fiorentino e altri, che associano comunque Euripilo e Calcante e pongono nell’isola di «Delphos» (sic) la sede dell’oracolo di Apollo. La nostra selezione di passi si limita alla missione delfica, e comprende la versione che ne dànno, sulle orme di Darete, Giuseppe Iscano e l’Istorietta Troiana, ricca di ulteriori varianti e di piacevole lettura43; segue la chiosa del Castelvetro, unico tra i commentatori antichi e moderni ad essersi accorto della svista di Dante su Euripilo.

Anonimo, Istorietta Troiana44:
Poi soppellirono il corpo derre Patricolus a grande onore; poi presero consiglio d’andare nell’isola de’ dei affare sagrifici e doni, tanto cherrisposto avessero della fine della loro inpresa; alla quale cosa fare allessero Accilles, Diomedes e Ulixes. Li Troiani si consilgliaro di mandare nella detta isola per lo detto Antenore e acciò s’accordarono tutti e mandaronvi il vescovo Toias, che era uno savio vecchio, col quale andò Ettor e il bello Pollidamas, il fìlgliuolo del vecchio Antenore. E il die checcostoro giunsero nell’isola, si vi trovarono li Greci cheggià aveano sacrificato agli dii effatte maravilgliosamente ricche offerende, e incontanente li Troiani feciero lo somilgliante. Tutta la notte furono ad orazioni, ell’una ell’ altra parte. La mattina al tempo del die ebbero risponso dalgli dii in questo modo: «Singniori di Grecia, ciò dicono gli dii del cielo che intra qui a dieci anni per la potenzia e per lo isforzo di te, Acciles, sarà la città di Troia presa e distrutta sevvoi manterete l’assedio, e tutti li dii vi comandano, i quali i secreti distini conducono, che voi non siate arditi di partirvi dall’ assedio, né voi né gli altri Greci, chella cosa avete cominciata. Conciò sia cosa chesse voi ve ne partite anzi chella cittade sia presa, tutti gli distini si cruccieranno contro a voi. E a voi di Troia dico [che] la vostra difesa non varrà nulla, che alla fine vi converrà perdere, e bene che voi vi voleste rendere nol sofferrebbe il distino; ettu, antico Toas, chesse’ savio essottile, io ti comando da parte di tutti gli dii e del destino, chettu mai non entri in Troia infìno che ella sia presa e distrutta, anzi ti tieni colli Greci elloro aiuta ecconsilglia e io loro comando che elli ti credano esservano e onorino, che a grande bisongnio verrai loro»; e qui tacette. Di questa risposta furono li Greci molto allegri, malli Troiani si sconfortarono molto, ma tanto erano pieni d’ardimento che nullo di loro ne fecie senbiante, se non Toas, il quale pianse e si ramaricò duramente ; elli Greci andarono allui e molto l’onoraro e menarlone colloro. Ed Ettor e Polidamas gli dissero: «Già per uno vecchio, il quale ae le menbra perdute non saremo di minore valore; esse di tutti li suoi pari fossimo diliveri troppo ci pregieremmo meglio». Apresso queste parole si partirono dell’isola, elli Greci elli Troiani. Grande duolo fecie Toas fra gli Greci, perciò che dipartuto s’ era di suo paese per lo mandamento delli iddii. Ma molto il confortarono e onorarono li Greci e da quella ora innanzi fecero quelli di Grecia poco onneente sanza lo suo consilglio.

Iscanus, Frigii Daretis Ylias, IV, 241-277:
At melius, ne labe levi mens casta labaret,
Augurium nescisse fuit, veterumque sepulti
Cessassent ritus, quorum decreta secuti
Graiugene summis oracula Delphica votis
Implorant ! Prior Eacides lictoribus aras
Ambit et has donis tandem sollempnibus emptas
Inachidis voces pandit venalis Apollo :
Vincitis, ultores Danai, grave Marte bilustri
Heret opus, decimum sequitur victoria bellum.
Talibus Eacides fatis excitus in omnes
Secretum tripodum socios partitur. Et ecce
Testorides Calcas mediis congressus in antris
Concordesque deos et consona fata revolvit.
Hic patrie et propriis scitatum oracula regnis
Venerat, hosque aditis monitus effudit ab isdem
Numen idem : “Non, o superis gratissime vates,
Vana petis. Dabitur patriis clementior aer
Sulcis, ieiuni populator Sirius anni
Occidet et plenis pinguescent messibus agri.
Tolle moras, te bella vocant, pete Cicropis urbem,
Ultrices dispone acies ! Tibi bellica cedet
Turba manu, Mopsus oculis et pectore Nestor.
Sera quidem sevisque virum mercanda ruinis
Inachidas lustro ditabit palma secundo”.
Ergo hilares socias iungunt in federa dextras
Eacides Calcasque pares. Quippe altus utrique
Gentis honos, regni equus apex; at maior Achilli
Spirat amor belli, Calcas tranquillior extis
Evolvisse deos et celi nosse meatus.
Tres unit iurata fides, consortia prima
Tercius auget amor nec, iam partitus amicum,
Invidet Actorides, sed pontum letior haurit
Et reducem torquet socio Calcante carinam.
Ut tripodum vulgata fides per castra, per urbem,
Per puppes certo iam claruit indice, cunctos
Bella iuvant, cunctis iam pulchrum vincere, tardum
Marte frui. […]

Lodovico Castelvetro, Sposizione di XXIX canti della Commedia45, ad Inf., XX, 112:
Che Euripilo fosse Augure non dice Virgilio, anzi dalle parole di Virgilio, ne le quali fa menzione di lui, si coglie non oscuramente che non era Augure; perciò che Virgilio, sotto la persona di Sinone, dice nel secondo libro dell’Eneida: Suspensi Eurypilum scitatum oracula Phoebi Mittimus, isque adytis huc tristia dicta reportat, etc. Ora come Sinone verisimilmente avrebbe potuto dire, che i greci avessono mandato Euripilo a Febo a domandargli che cosa dovessono fare per potere, con pace degl’iddij crucciati, ritornare sani e salvi alle patrie loro, e non avessono domandato a lui, sì come ad Augure, che lo rivelasse loro? O almeno, poichè tornò con questo tristo risponso d’Apollo: Sanguine placastis ventos et virgine caesa, Cum primum Iliacas, Danai, venistis ad oras; Sanguine quaerendi reditus animaque litandum Argolica: ed essendo il risponso oscuro ed incerto del sangue di quale uomo greco, sacrificandolo, volessero gl’iddij essere placati, non l’avessono domandato a lui, sì come ad augure, secondo che Ulisse (col consentimento degli altri) ne domanda a Calcante, perciò che era augure? Hic Itacus vatem magno Calchanta tumultu Protrahit in medios; quae sint ea numina divum Flagitat, etc. Adunque Virgilio non dice che Euripilo fosse augure; anzi, come dico, si coglie dalle sue parole che non era augure. Ma che Euripilo fosse con Calcanta a dare il punto a tagliare la prima fune delle navi in Aulide, quando i greci vennero ad oste sopra Troia, questo non dice Virgilio, nè altri, che io mi sappia. Ma per aventura Dante se lo imagina e da sè se lo finge, e forse che questa sua imaginazione e fizione non è comportevole in poesia, sì come per ragione di poesia non è del tutto commendabile che egli s’imagini e finga che Euripilo abbia le spalle brune.

4.  Ulisse e Diomede, Sinone, Antenore (ed Enea)

L’attenzione dei critici a proposito dell’Ulisse dantesco si è a lungo impegnata sul folle volo e sulla «vertute e canoscenza» che anima l’eroe; e certo il grandioso ritratto del personaggio è, con quelli delle altre ‘coppie’ di dannati Paolo e Francesca, Ugolino e Ruggieri, indelebilmente scolpito nella nostra memoria. Anche qui è uno solo a parlare: Diomede, come Paolo e Ruggieri, è silenzioso testimone del suo straordinario compagno. Ritengo inoltre significativo che Ulisse e Diomede siano gli unici personaggi della guerra di Troia con i quali Virgilio e Dante hanno un colloquio diretto: tutti gli altri infatti o sono semplicemente citati, magari a fini ‘esemplari’, o solo additati tra le tante anime. Oltre loro, il solo Sinone è dinanzi ai loro occhi protagonista di una vivace serie di battute con Mastro Adamo, cui però i due poeti assistono passivamente. Il racconto di Ulisse, che appare sostanzialmente privo di radici nella pur amplissima letteratura classica che lo riguarda, è totalmente diverso da quello che ne dice Ditti, che ripete invece la storia della Telegonia ciclica46. Naturalmente le fonti greche non erano accessibili direttamente a Dante, ma proprio per il tramite di Ditti e degli imitatori medievali egli poteva averne conoscenza indiretta47.

La complessa vicenda del tradimento di Troia, mai esplicitamente trattata da Dante, interessa numerosi canti e personaggi dell’Inferno48 e conviene discuterne in maniera unitaria per evitare ripetizioni e inopportuni rinvii. È inoltre opportuno anticipare quelli che ritengo punti saldi di questa indagine, da verificare nei singoli passaggi: Dante, come già Virgilio, e la maggioranza delle testimonianze che pur ammettono il tradimento, ne scarica la responsabilità sul solo Antenore scagionando il pio Enea da ogni colpa; elemento proditorio è principalmente il furto del Palladio, di gran lunga secondario è invece il cavallo bronzeo o ligneo trascinato nel cuore di Troia col suo carico di guerrieri; Ulisse (e con lui Diomede) sono puniti come consiglieri fraudolenti e non come falsari, colpa che invece coerentemente Dante attribuisce a Sinone: questa distinzione consente di meglio comprendere qualche passaggio oscuro del canto di Ulisse. Torniamo per un attimo sul I canto (vv.75-77), là dove, presentandosi a Dante, Virgilio dice di sé:

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto,

per notare che alcuni commenti medievali49 sollevavano qualche perplessità per l’epiteto «giusto» riferito a chi era sospettato di tradimento. Con l’eccezione del Serravalle, tutti negavano il coinvolgimento di Enea.

Del freddo incontro con Enea nel Limbo abbiamo già accennato, e anche i laconici richiami ad Antenore in Inf., XXXII, 88 e Purg., V, 75 hanno analoga accoglienza dai commentatori di ogni tempo. Conviene ora approfondire quali fonti sul tradimento fossero accessibili a Dante e, pur se ne escludiamo naturalmente quelle greche, l’elenco risulterà ancora lungo e di tutto prestigio50: vi spiccano i nomi dei commentatori di Virgilio (e quindi indirettamente dello stesso cantore di Enea!) e, tra i contemporanei, quello di ser Brunetto51. Come immaginare che Dante fosse all’oscuro di questa storia? Raccogliendo allora l’implicito invito dell’amato maestro di Dante, leggiamo quanto ce ne raccontano Ditti e Darete.

Darete, De excidio Troiae, 39-42:
Eodem die conueniunt clam Antenor, Polydamas, Ucalegon, Amphidamas, Dolon: […] Antenor ait se inuenisse quid faciendum sit, quod sibi et illis in commune proficiat, dum sibi et illis foret fides. Omnes se in fide astringunt. Antenor, ut uidit se obstrictum, mittit ad Aeneam, dicens, prodendam esse patriam, et sibi suisque cauendum esse: ad Agamemnonem de his aliquem mittendum esse…Itaque omnes promittunt: statimque Polydamantem, qui ex his unus erat, ad Agamemnonem clam mittunt. Polydamas in castra Argiuorum peruenit, Agamemnonem conuenit, dixitque ea quae suis placerent. Agamemnon clam nocte omnes duces in concilium conuocat, refert eadem: quid cuique uideatur, dicere iubet. Omnibus placitum est, ut fides proditoribus seruetur. Ulysses et Nestor uereri se dixere, hanc temeritatem subire. Neoptolemus eos refutat. Dum inter se certant, placitum est, signum a Polydamante exigi, et idipsum per Sinonem ad Aeneam, Anchisem, et Antenorem mitti. Sinon ad Troiam proficiscitur. Et quia nondum claues portae Amphimachi custodibus traditae erant, signo dato Sinon, nomine Aeneae, et Anchisae, et Antenoris audito, confirmatus, Agamemnoni renuntiat. Tunc placitum est omnibus, ut fides daretur, et iureiurando confirmaretur, Antenori, Aeneae, Ucalegoni, Polydamanti, Doloni, suisque parentibus, liberis, coniugibusque, et consanguineis propinquis, et amicis qui una coniurassent, omnibus fidem praestari, suaque omnia sacra et bona incolumia habere liceat. Hoc pacto confirmato, et iureiurando astricto, suadet Polydamas, noctu exercitum ad portam Scaeam ut adducant, ubi extrinsecus caput equi pictum est, ibi praesidia habere noctu Antenorem cum Anchise, exercitusque noctu portam reseraturos, eisque lumen prolaturos. Id signum eruptionis fore, quod ibi praesto forent qui ad regiam eos ducant. Postquam pacta confirmata sunt, Polydamas in oppidum redit, facta renuntiat, dicit Antenori et Aeneae, ceterisque quibuscum actum erat, ut suos omnes ad Scaeam portam adducant, noctu Scaeam portam aperiant, lumen ostendant, exercitum introducant. Antenor et Aeneas noctu ad portam praesto fuerunt, Neoptolemum susceperunt, exercitui portam reserauerunt, lumen ostenderunt, fugae praesidium sibi et suis omnibus ut esset postulauerunt. […] Postquam dies illuxit, Agamemnon […] exercitum consulit, an placeat Antenori et Aeneae, cum his qui una patriam prodiderant, seruari, quod illis clam confirmauerant. Exercitus totus conclamat, placere sibi; itaque conuocatis omnibus, omnia sua reddidit.

Ditti, Ephemeridis belli Troiani, IV, 22 e, di seguito, V, 4-12:
IV, 22. Priamus, ubi multa ab Aenea contumeliosa ingesta sunt, ad postremum ex consilii sententia iubet ad Graecos cum mandatis belli deponendi ire Antenorem […] electique Agamemnon, Idomeneus, Ulisses atque Diomedes, qui secreto ab aliis proditionem componunt. Praeterea placet, uti Aeneae, si permanere in fide uellet, pars praedae et domus uniuersa eius incolumis maneret. Ipsi autem Antenori dimidium bonorum Priami, regnumque uni filiorum eius quem elegisset, concederetur.
V, 4-12. Tum separato rege, placet, uti Antenor ad Graecos redeat exploratum uoluntatem certam, adiunctusque ei uti uoluerat, Aeneas […] Et ad postremum confirmant inter se proditionis pactionem. Dein ubi tempus uisum est, cum Ulisse et Diomede ad Troiam ueniunt […] duces nostri ad Antenorem abeunt, ibique acceptis epulis pernoctant. Praeterea cognoscunt ab Antenore editum quondam oraculum Troianis, maximo exitio ciuitati fore, si Palladium, quod in templo Mineruae esset, extra moenia tolleretur. […] Hortantibus dein nostris, uti secum ad ea omnia eniteretur, facturum se quae cuperent, respondit. […] Inde ubi iam uesperarat, domum discessum: atque eadem nocte Antenor clam in templum Mineruae uenit, ubi multis precibus ui mixtis Theano, quae ei templo sacerdos erat impulit, uti Palladium sibi traderet: habituram namque magna eius rei praemia. Ita perfecto negotio ad nostros uenit, hisque promissum offert, uerum id Graeci obuolutum bene, quo ne intellegi a quoquam posset, uehiculo ad tentoria Ulissis per necessarios fidosque suos remittunt. […] Graeci ad naues abeunt. Ibi conductis ducibus, cuncta dicta gestaque exponunt: Palladium etiam ablatum per Antenorem docent. […] Caeterum apud Troiam auri atque argenti praedictum pondus per Antenorem atque Aeneam summo studio in aedem Mineruae portabatur. […] Neque segnius per totam urbem incendiis gestum, positis prius defensoribus ad domum Aeneae atque Antenoris.

I due loci paralleli, ridotti all’essenziale, presentano molte analogie ma anche delle importanti differenze52, tra le quali spicca in Darete l’assenza del cavallo, ridotto a mero simbolo della porta Scea, e soprattutto del Palladio. Ne parla invece diffusamente Ditti, per il quale il cavallo non contiene guerrieri greci come nella vulgata, e soprattutto il talismano di Troia finisce nelle mani dei Greci per responsabilità del solo Antenore, a ciò fraudolentemente consigliato da Ulisse e Diomede! Enea vi è coinvolto senza nulla saperne, e Dante ha motivo di ritenerlo, almeno formalmente, estraneo all’odiosa colpa del tradimento giacché egli, come tutti i Troiani, sa da Sinone53 che il Palladio non è più nel tempio di Minerva perché sottratto in modo cruento e sacrilego, ma non proditorio, da Ulisse e Diomede. Nel suo celeberrimo racconto a Didone egli ammette che, come Priamo e tutti gli altri, non si era reso conto che Sinone stesse imbastendo un racconto falso: ma se un sospetto simile fosse emerso il castello di fandonie ideato da Ulisse e propalato dall’abile falsario sarebbe immediatamente crollato e Troia non sarebbe stata conquistata.

Se queste considerazioni sono fondate, possiamo serenamente concludere che Dante avesse dinanzi a sé, oltre all’Eneide e alle Metamorfosi con i loro chiosatori e le tante fonti minori sul mito troiano, anche il testo di Ditti o di qualcuno dei suoi imitatori medievali54. Qui soltanto infatti le relazioni tra i fatti e i personaggi sono chiare ed esplicite, e appaiono del tutto coincidenti con le valutazioni del nostro grande poeta. Ma forse la pagina di Ditti sul Palladio può aiutarci a gettare un po’ di luce su un altro passo del bellissimo canto di Ulisse che da sempre tormenta i critici:

Inf., XXVI, 64-84:
«S’ei posson dentro da quelle faville
parlar», diss’ io, «maestro, assai ten priego
e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
che non mi facci de l’attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver’ lei mi piego!».
Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l’accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.
Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto».
Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:
«O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi».

Quasi tutti i commenti, antichi e moderni, intendono «detto» per «lingua» e si dànno a spiegazioni poco convincenti sull’ignoranza del greco da parte di Dante e sulla superbia dei Greci: ma Dante capisce perfettamente quel che racconterà Ulisse, né mai ci sono stati problemi di questo genere con alcun dannato; e peraltro Virgilio ha ben chiaro che Dante vuol sapere come è morto Ulisse, altrimenti si sarebbe sentito riproporre dall’allievo la domanda insoddisfatta. Le parole di Virgilio sull’identità dei due dannati e sulle loro colpe avevano tolto ogni dubbio a Dante sulla vera vicenda del Palladio, ma se egli avesse direttamente chiesto ad Ulisse come fosse morto avrebbe potuto incautamente far cenno a Ditti o ad uno dei suoi imitatori, e Ulisse si sarebbe rifiutato di rispondere perché per lui, greco, era disonorevole ammettere che Troia aveva perso il suo talismano per sottrazione fraudolenta e non per un ‘legittimo’ atto di pirateria bellica, come falsamente raccontato da Sinone. E il merito grande o piccolo di cui parla Virgilio è di non aver mai nel suo poema detto esplicitamente la verità sul Palladio, infamante per i due greci, ma di aver lasciato in piedi quella falsa versione che invece faceva loro comodo: e in realtà alla falsa versione di Sinone continua assurdamente a dare credito la gran parte dei commenti ad locum.

Non ci resta che fornire qualcuna delle imitazioni medievali a proposito del tradimento e del Palladio e concludere con una strana constatazione: il Roman e Guido delle Colonne trasformano la sacerdotessa di Minerva e moglie di Antenore, Teano, nel maschio Toante. È un guasto della tradizione manoscritta, oppure al Medioevo cristiano e più probabilmente al notaio messinese sembrava strana la figura delle sacerdotesse?

Anonimo, Istorie de Troia e de Roma, 385-387:
Lo tradimento de Troia. Et in quella die Polidamas mannao Entalegon et Epidamus et Iolans ad Antenorem. E dissero ad Antenorem: Che pò essere che Priamus con tutti li Troiani staco così reclusi in Troia, et esso e noi nanti vole lassare perire che fazza pace co li Greci? Alli quali Antenor respuse e disse: Io aio trovata via como a mi et a voi po fare prode. E feceli iura pro essere securo d’essi. E disse tutto lo fatto a loro, e lo fatto a tutti placche. E mannaro Polidamas ad Agamenonem e disseli le paravole de Antenore e de li compangi de tradireli Troia. Et Agamenon lo disse infra lo consilio suo tutte le paravole d’Antenore de lo tradimento che li devea fare. E disse allo consilio : Place a voi che alli traditori se li osservi fede? Ulises e Nestor disse de sì; Pirrus, filio de Acille, disse de no. Polidamas disse a Priamo: Manna Simonem ad Eneas et ad Anchises et ad Antenor a sapere tutto lo fatto. […] Et Anchisas et Eneas et Antenor confirmaro lo patto con Simon. Et Agamenon lo pone nanti a tutti li soi, se li place de confirmare lo patto co li traditori. E tutto lo consilio lo iuraro. E ne la midate de la notte Antenor, Anchisas et Eneas e tutti l’altri iuraro insemmori de dare Troia alli Greci ; et a tutti li Troiani lo suo sia franco. E dissero a Simon che dicesse ad Agamenon che benga alla porta con tutto lo suo essercitu : la quale porta avea nome Scea et erave scolpita una testa de cavallo, et era data in guardia a Polidamas: Et apererao quella porta, donne entraraco. E poi fo confermato lo patto con Pirrus, filio de Acille. Et fecerolli lo farao de lo foco. Et Antenor menao Pirrus allo palazo de Priamo, e Priamus fugio ne lo templo de dio Iovis : e Pirrus lo occise nanti lo templo de dio Iovis […] E li Greci tutta notte arsero e vastaro Troia. Venuta la die, Agamenon fece tutta la robba partire infra li Greci. E disse alli soi se li place de asservare lo patto co li traditori. E tutti respusero e dissero: Place.

[Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose, 55-56:
Prist Anthenor les .II. roys Ulixés et Dyomedés et s’alerent seoir a une part entr’eux .III. et leur dist: « Certes, seignors, il n’est riens que ge tant desirre comme avoir vostre amour et des Grizois ensement. Si vos vueil bien faire asavoir que nos avons ceanz par cui nos somes tensé et garanti, et vos diré comment. Voirs est que quant Ylus qui fist Troie premierement et fist Ilyon, quancque il fesoit faire le temple de Minerve, avant qu’il feust tout achevé et couvert, que nous trouvons que Palas, qui est deesse de chevalerie, envoia des ciex un signe de fust merveilleux en seùrtance que ja ne doutent Troyens perdre la cité ne la terre tant comme il l’aient; et l’apelent Palladion. Dont ge di que se Grizois le poaient avoir que trop aesiement feroit l’en le sorplus de noz consaux ». Lors dist Ulixés a Anthenor : « Et que nous vaudroit donc tenir parole n’a vous n’a autre se nos ne l’avions? Nos perdrions noz poines. Mes ge sai bien, se vos i volez mestre poine, nos l’avrons. Et lors aparra se vos nos amez tant comme vos dites ». Adonc a dit Anthenor et ostroié que comment que il en doie aler ne avenir, il le fera. […] Un jour avint que Diomedés et Ulixés estoient venuz parler a Anthenor et a Eneas, li quel estoient ou temple de Minerve ou il parloient ensemble et porpensoient la maniere de la trahison. […] Icele nuit meismes fist tant Anthenor vers Thehaus qui gardoit le temple Minerve ou Palladion estoit, que il li souffri a embler le Palladion, et le porta la nuit en l’ost des Grizois. Quant Anthenor s’en fu alez au bien matin, si fu montrez le Palladion a touz les Grizois55.

Note

1 Se accettiamo (e almeno per Ditti appare molto probabile) che i due testi fossero originariamente scritti in greco e solo più tardi, ma non prima del IV secolo d.C.,siano stati tradotti in latino, le testimonianze sui due autori mi sembrano convergere sul I secolo d.C. Vedi anche la nota 3.

2 La scoperta di papiri contenenti frammenti greci corrispondenti letteralmente al testo latino di Ditti non sembra lasciare dubbi in proposito. Il papiro più importante è il Tebtunis 268, che racconta l’agguato mortale ad Achille nel tempio di Apollo Timbreo; altri passi riportati nell’archivio informatico Thesaurus litterarum Graecarum, segnatamente 1a/49/F.6-7 e 1a/49/F.6.14-21, si riferiscono all’agguato di Achille a Pentesilea e alla lapidazione di Polidoro. Un altro papiro riferisce dell’incontro tra Achille e Priamo.

3 Isidoro, Etym., I, 42, De primis avctoribvs historiarvm. [1] Historiam autem apud nos primus Moyses de initio mundi conscripsit. Apud gentiles vero primus Dares Phrygius de Graecis et Troianis historiam edidit, quam in foliis palmarum ab eo conscriptam esse ferunt. [2] Post Daretem autem in Graecia Herodotus historiam primus habitus est. Se Darete fosse divenuto noto solo tra V e VI secolo, ben difficilmente Isidoro sarebbe incorso in un errore così marchiano.

4 Proprio l’assenza del mito in opere che si pretendevano anteriori ad Omero fece probabilmente insospettire il grande filosofo preromantico. Vedi la Scienza Nova, Anno del mondo 2820.

5 Mi riferisco ai testi di Gorra, Egidio, Testi inediti di storia trojana preceduti da uno studio sulla leggenda trojana in Italia, Torino, 1887, e Joly, Aristide, Benoît de S.M. et le Roman de Troie, Parigi, 1870.

6 Oltre a Frazer, James George, The Golden Bough. A Study on Magic and Religion, abridged edition, London, 1922, anche Frazer, Richard, editore dei due autori per la Loeb Classical Library (London-Cambridge Mass., 1966).

7 Una utile integrazione può essere fornita dal confronto parallelo tra le occorrenze in Severyns, Albert, Le cycle épique dans l’école d’Aristarque, Parigi, 1928, e Bernabé, Alberto, Poetarum epicorum Graecorum testimonia et fragmenta, pars I, Lipsia, 1987; e il testo di Ditti che, come è noto, va dal rapimento di Elena alla morte di Ulisse.

8 Per Darete, che narra la vicenda troiana fin dalla prima distruzione, quella argonautica, i rapporti con il ciclo sono tutti da indagare. Vedi i miei lavori sul sito Méditerranée: http://www.mediterranees.net/mythes/troie/ chiappinelli.html.

9 L’esempio più significativo e di cui non trovo precedente consapevolezza nei testi di cui dispongo mi pare senz’altro la notizia delle nozze di Telemaco e Nausicaa, da cui nasce un figlio; è davvero stupefacente che questa notizia così singolare, per il tramite di Ditti, giunga alla letteratura troiana di età medievale. La riferiscono Eustazio di Tessalonica (1796, 35), che cita Aristotele ed Ellanico, e anche Ditti (VI, 6), ripreso da Benoît de Sainte-Maure, Roman de Troie en prose, 66, e Guido delle Colonne, Historia destructionis Troiae, I, 33.

10 Indispensabile a questo proposito la lettura di Gorra, op cit., capp. I e III-VI, e Joly, op.cit., capp. IV e VIII.

11 Per quanto possibile cercheremo di servirci delle opere sicuramente note al poeta, salvo indicarne esplicitamente la probabilità.

12 Ci avvaliamo per questa indagine dell’ottimo sito web Dartmouth Dante Project (diretto da R. Hollander, S. Campbell e Simone Marchesi), che fornisce una sinossi dei commenti al poema, dai più antichi ai più recenti: http://dante.dartmouth.edu/

13 Parleremo quindi di Ettore, Enea, Pentesilea che i due poeti incontrano nel Limbo; Elena, Achille e Paride, tra i lussuriosi; Calcante, tra gli indovini, con Euripilo; Ulisse e Diomede, consiglieri fraudolenti; Sinone, falsario; Antenore, traditore della patria.

14 Si tratta di Agamennone, Anchise, Polidoro e Polinestore, Ifigenia, Circe e Penelope, Ecuba e Polissena, salvo involontarie omissioni. La nostra indagine riguarderà Polidoro, Ecuba e Polissena per le varianti rispetto alla vulgata omerico-virgiliana.

15 Di Rifeo, suo compagno nell’ultima notte di Troia, parla Enea a Didone descrivendolo come iustissimus unus / qui fuit in Teucris et servantissimus aequi (Aen. II, 426-427). Questo giudizio di Virgilio spinse Dante a farne con Traiano una delle stelle che costituiscono il ciglio dell’aquila imperiale in Paradiso, XX, 68: e poiché gli altri sono re, mentre nulla fa credere che Rifeo lo fosse, a questo rango comunque lo promuovono i commenti trecenteschi ad locum di Jacopo della Lana (1324-1328) e dell’Ottimo (1333), giustamente contestati da Bosco, Umberto e Reggio, Giovanni, La Divina Commedia, Firenze, 1979.

16 Cito il testo da C. Segre e M. Marti (edd.), La prosa del Duecento, Milano-Napoli, 1959, pp. 375-426.

17 Edizione: Torri, Alessandro (ed.), L’Ottimo commento della Divina Commmedia. Testo inedito d’un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca, Pisa 1827-1829.

18 Edizione: Padoan, Giorgio (ed.), Giovanni Boccaccio. Esposizioni sopra la Commedia di Dante, Milano, 1965.

19 Non trovo alcun sostegno precedente a questa romantica notizia dell’amore di Pentesilea per Ettore fornita dal Boccaccio.

20 Dione di Prusa, Troico, 93 sgg.

21 Fondamentale per queste considerazioni e le informazioni bibliografiche l’articolo di Inglese, Giorgio, «Una pagina di Guido delle Colonne e l’Enea dantesco», La cultura, 25/3, 1997, pp. 403-433. È indispensabile sottolineare che le fonti classiche non contengono riferimenti in proposito, ma che se ne trovino le prime tracce solo in autori della prima metà del XII secolo. Ma l’accusa ritorna nel commento ad locum del Boccaccio: «[Enea] fu sempre ricevitore degli ambasciadori greci: per le quali cose, essendo Iliòn preso da’ Greci, in luogo di guiderdone gli fu conceduto di potersi, con quella quantità d’uomini che gli piacesse, del paese di Troia partirsi e andare dove più gli piacesse. Per la qual concessione prese le venti navi, con le quali Parìs era primieramente andato in Grecia, e in quelle messi quegli Troiani alli quali piacque di venir con lui, e similemente il padre di lui ed il figliuolo, e, secondo che ad alcun piace, uccisa Creusa, lasciato il troiano lito, primieramente trapassò in Trazia».

22 Vedi il commento di Filippo Villani (1405) a Inf., I, 74: Per opus suum in lingua latina vulgatissimum ostendit se fuisse Virgilium. Ad locum istum allego[rie] mirabilis aperiendus est oculus: nam, licet Maro, ut alluderet Augusto qui materna origine de magno proditore Enea venerat, poetando semper illi pii adiecerit epyteton, atque etiam alicubi per Ylioneum dicere faciat: Rex fuit Eneas nobis, quo nec iustior alter, nec pietate fuit nec bello maior et armis, constat tamen, referente Darete et approbantibus Servio, Donato et aliis commentatoribus Virgilii, Eneam fuisse patrie proditorem. Noster vero poeta, christianus et veritatis cultor et amator, non sine misterio de tali mendatio fabulatur.

23 Aen., I, 490-493, col commento di Servio: furentem ideo dixit, quia sororem suam in venatione confixit simulans se cervam ferire. Sed hoc per transitum tangit, nam furor bellicus intellegitur. An furens quia maiora viribus audebat. Ma il termine furens ricorre ben 32 volte nell’Eneide, e ben 10 riferito ad ambito erotico, prevalentemente per Didone: non escluderei che anche qui possa richiamare allusivamente l’amore di Pentesilea per Ettore.

24 Aen., XI, 648-649. Interessanti anche qui i commenti di Servio, in particolare quello al verso 842, dove si descrive la morte dell’eroina: «Dicono che perciò Camilla dovette morire, perché portò le armi contro i Troiani, ai quali si sa che i suoi avi, cioè Pentesilea, avevano portato aiuto». Servio dunque aveva stabilito un vincolo di parentela tra le due eroine, per noi certo molto improbabile. Sta di fatto che l’associazione era data per naturale già da Virgilio.

25 Ovidio, Remedia, 676; Heroides, II, 120; Ars, III, 2 e III, 11, 14; Igino, Fab. 112.

26 De Penthesilea regina Amazonum. Penthesilea virgo Amazonum regina fuit, et successit Orythie et Antiopi reginis; quibus tamen procreata parentibus, non legi. Hanc aiunt, oris incliti spreto decore, et superata mollicie feminei corporis, arma induere maiorum suorum aggressam; et auream caesariem tegere galea ac latus munire faretra; et militari, non muliebri, ritu currus et equos ascendere, seque pre preteritis reginis mirabilem exhibere, viribus et disciplina, ausa est. Cui nec ingenium validum defuisse constat, cum legatur securis usum, in seculum usque suum incognitum, eius fuisse compertum. Haec, ut placet aliquibus, audita Troiani Hectoris virtute, invisum ardenter amavit, et cupidine, in successionem regni, inclite prolis ex eo suscipiendi, in tam grandem oportunitatem cum maxima suarum copia eius in auxilium adversus Graios facile provocata descendit. Nec eam clara Grecorum principum perterruit fama, quin Hectori armis et virtute cupiens quam formositate placere, sepissime certamina frequentium armatorum intraret; et non numquam hasta prosternere, quandoque obsistentes gladio aperire et persepe arcu versas in fugam turmas pellere et tot tamque grandia viriliter agere, ut ipsum spectantem aliquando Herculem (sic codices; fortasse Hectorem legendum) in admirationem sui deduceret. Tandem dum in confertissimos hostes virago hoc die preliaretur una seque ultra solitum tanto amasio dignam ostenderet, multis ex suis iam cesis, letali suscepto vulnere, miseranda medios inter Grecos a se stratos occubuit. Alii vero volunt eam, Hectore iam mortuo, applicuisse Troiam et ibidem, ut scribitur, acri in pugna cesam. Essent qui possent mirari mulieres, quantumque armatas, in viros umquam incorrere ausas, ni admirationem subtraheret quondam usus in naturam vertitur alteram, quo hec et huiusmodi longe magis in armis homines facte sunt, quam sint quos sexu masculos natura fecit, et ociositas et voluptas vertit in feminas seu lepores galeatos.

27 «La Pantasilea fu reina dell’Amazone, cioè di quelle donne, le quali senza volere o compagnia o signoria d’uomini, per se medesime in Asia, allato al mar Maggiore, sotto più reine lungo tempo signoreggiarono parte d’Asia e talora d’Europia. […] E, essendo in processo di tempo morta una loro reina, la quale fu chiamata Orizia, fu fatta reina la Pantasilea. Costei fu valorosa donna e governò bene il suo regno; e, avendo udito il valor di Ettore, figliuolo del re Priamo, disiderò d’avere alcuna figliuola di lui, e per cattare l’amore e la benivolenza sua, con gran moltitudine delle sue femine contro a’ Greci venne in aiuto de’ Troiani; ma non poté quello che disiderava adempiere, per ciò che trovò, quando giunse, Ettore esser già morto. Ma nondimeno mirabilmente più volte per la salute di Troia combatté; alfine combattendo fu uccisa».

28 Della relazione con Patroclo parlano soprattutto fonti greche, tra cui Apollodoro, III, 13, 8. Meno nota è quella con Troilo, fratello di Polissena che, secondo alcune fonti iconografiche, avrebbe assistito alla sconvolgente scena riferita da Servio, a chiosa di Aen., I, 477 (parte alia fugiens amissis Troilus armis): ‘parte alia’ scilicet templi. et ueritas quidem hoc habet: Troili amore Achillem ductum palumbes ei quibus ille delectabatur obiecisse: quas cum uellet tenere, captus ab Achille in eius amplexibus periit. sed hoc quasi indignum heroo carmine mutauit poeta. Anche la scena virgiliana, che appare a prima vista la descrizione del duello mortale tra Achille e Troilo, viene a significare un fatto ben diverso e spiega perché Achille verrà ucciso dove è sepolto Ettore, e dove Troilo è stato bestialmente ucciso sotto gli occhi atterriti di Polissena.

29 Proclo, Chrest., 175-180 Severyns; Libanio, Progymn., IX, 1, 22; Apollodoro, Epit. Vat., V, 191; Quinto Smirneo, Posthom., I, 663-810; Nonno, Dion., XXXV, 27-30.

30 «Haec tamen Martis et Otreres filia fuit, quam Achilles cum adversum se pugnantem peremisset post mortem eius adamavit eamque honorifice sepelivit» e «ab Achille occisa ac mortua adamata est: ut nonnulli vero adserunt, cum Achille concubuit et ex eo Caystrum filium edidit, ex quo flumen Lydiae ita appellatur». Anche la seconda parte della chiosa colora di sinistra gelosia la macabra scena. Altri riferimenti alla storia d’amore tra i due forse noti a Dante in Properzio, III, 11, 12 e Pseudo-Giustino, Orat. ad gent., 37.E.6-38.A.6: «Anche il figlio di Peleo, che guadò il fiume, abbattè Troia, uccise Ettore, il vostro eroe, era lo schiavo di Polissena ed era stato vinto dall’Amazzone morta».

31 Proclo, Chrest. 274 (dal riassunto dell’Ilioupersis di Arctino): «Poi, incendiata la città, sgozzano Polissena sulla tomba di Achille».

32 Aen., III, 121ss. Vedi il commento di Servio ad Aen., III, 321: ‘Priameia virgo’: Achilles dum circa muros Troiae bellum gereret, Polyxenam visam adamavit et conditione pacis in matrimonium postulavit. Alii dicunt quod, cum ad redimendum corpus Hectoris ab Achille etiam ipsa cum patre venisset, adamata est. Quam cum Troiani fraude promisissent, Paris post Thymbraei Apollinis simulacrum latuit et venientem Achillem ad foedus missa vulneravit sagitta. Tum Achilles moriens petiit, ut evicta Troia ad eius sepulcrum Polyxena immolaretur : quod Pyrrhus implevit. Et alius ordo fabulae huius : cum Graeci victores in patriam vellent reverti, e tumulo Achillis vox dicitur audita querentis, quod sibi soli de praeda nihil inpertivissent. De qua re consultus Calchas cecinit, Polyxenam Priami filiam, quam vivus Achilles dilexerat, eius debere manibus immolari; quae cum admota tumulo Achillis occidenda esset, manu Pyrrhi aequanimiter mortem dicitur suscepisse. Invenitur enim apud quosdam quod etiam ipsa Achillem amaverit, et ea nesciente Achilles fraude et insidiis sit peremptus.

33 Met., XIII, 449-480.

34 Tra le più importanti: lo scolio, probabilmente bizantino, al verso 41 dell’Ecuba euripidea; Filostrato, Heroic., 51; Quinto Smirneo, Posthom., XIV, 257-271. Importanti anche le fonti ceramiche, con le considerazioni di Pausania.

35 Danai victores cum ab Ilio classem conscenderent et vellent in patriam suam quisque reverti et praedam quisque sibi duceret, ex sepulcro vox Achillis dicitur praedae partem expostulasse. Itaque Danai Polyxenam Priami filiam, quae virgo fuit formosissima, propter quam Achilles cum eam peteret et ad colloquium venisset ab Alexandro et Deiphobo est occisus, ad sepulcrum ejus eam immolaverunt.

36 Tra gli antichi commentatori citano in questo luogo Ditti e/o Darete o i rifacimenti medievali: Jacopo della Lana (1324-1328), Guido da Pisa (1327-1228?), Guglielmo Maramauro (1369-1373); tra i moderni, Lombardi (1791-1792), Campi (1888-1893), Tozer (1901), Torraca (1905), Grandgent (1909-1913), Pietrobono (1924-1930), Sapegno (1955-1957), Mattalia (1960), Giacalone (1968), Singleton (1970-1975), Pasquini-Quaglio (1982), Chiavacci Leonardi (1991-1997). Indirettamente Jacopo Alighieri (1322), Graziolo Bambaglioli (1324), l’ Ottimo (1333), Pietro Alighieri (1359-1364), Giovanni Boccaccio (1373-1375), Benvenuto da Imola (1375-1380), Francesco da Buti (1385-1395), Anonimo Fiorentino (1400?), Guiniforto delli Bargigi (1440), Cristoforo Landino (1481), Vellutello (1544), Bernardino Daniello (1547-1568), Giacomo Poletto (1894), Enrico Mestica (1909), Ernesto Trucchi (1936).

37 A citare Ditti e Darete sono, esplicitamente, Guido da Pisa, pochi anni dopo la morte del divino poeta, Pietro Alighieri, il Campi che cita Landino, il Torraca e, indirettamente, l’Ottimo, il Boccaccio, il Buti, il Serravalle che riferiscono, talora in modo impreciso, particolari del conflitto che potevano conoscere solo da essi.

38 Questa perplessità è soprattutto dei moderni, alcuni dei quali (Niccolò Tommaseo (1837), Raffaello Andreoli (1856), Giuseppe Campi (1888-1893), Enrico Mestica (1909), Manfredi Porena (1946-1948) la tramutano in certezza. Sulle orme del Boccaccio («esso medesimo Parìs fu ucciso da Pirro, figliuolo d’Acchille»), che forse confonde Paride con il Polite di cui ad Aen., II, 581ss., Raffaello Andreoli (1856), P. Gioachino Berthier (1892-1897), Isidoro del Lungo (1926), Siro A. Chimenz (1962), Giovanni Fallani (1965), Giorgio Padoan (1967) ne fanno una vittima di Pirro.

39 Vedi in questo articolo la sezione dedicata a Sinone. Il nome di Euripilo è in Aen., II, 114; Igino, Fab., 113 e Ovidio, Met., XIII, 357, e niente farebbe pensare ad altro che ad uno dei condottieri greci che presero parte alla spedizione. Sulla scia del Castelvetro, di cui riportiamo l’intera chiosa, altri commentatori moderni, come Chimenz (1962), Bosco-Reggio (1979), Chiavacci Leonardi (1991-1997), Fosca (2003-2006), rilevano la contraddizione senza, a mio parere, risolverla in modo soddisfacente.

40 Il ruolo di guida è da altri assegnato al vecchio Nestore, che tra gli Argonauti aveva preso parte anch’egli alla prima distruzione di Troia.

41 Anche se di questo Calcante così inatteso per noi Dante non appare consapevole, ritengo improbabile che davvero non avesse anche in questo caso nessuna notizia della vicenda che come tante altre era stata così originalmente modificata dal poeta normanno.

42 Citano Ditti e/o Darete l’Ottimo, Pietro Alighieri, Giuseppe Campi.

43 Particolarmente significativa la sostituzione di Toas a Calcante.

44 Segre e Marti (edd.), op. cit., pp. 533-545.

45 L. Castelvetro, Sposizione di XXIX canti della Commedia, a cura di G. Franciosi, Modena, 1886.

46 I critici aggiungono Cicerone, De Fin., 18; De Off., III, 26; Seneca, De constant. sapient., II, 1; Plinio, N.H., V, 28 e Solino, De mirabil. Mund., 34. Ne ricordiamo alcune fonti: Proclo, Chrest., 306-330 Severyns; Luciano, Storia vera, II 29; Apollodoro, Epit. Vat., VII, 16; Igino, Fab., 125 e 127.

47 Vedi Ditti, Ephem., VI, 14-15; [Benoît de Sainte-Maure], Roman de Troie en prose, 70-75; Guido delle Colonne, Historia destructionis Troiae, 33. Citano Ditti come autore della versione più nota, non seguita da Dante, Pietro Alighieri e Benvenuto da Imola, che gli affianca a sproposito Darete, mentre Guglielmo Maramauro (1369-1373), sulle orme di Claudiano, lo fa arrivare in litore Oceani versus Yspaniam, ubi Ulixes, sacrificato Elpenore, ad Inferos discendit.

48 Ne ho trattato in maniera sistematica, riferendo e discutendo di tutte le testimonianze classiche e medievali, nel mio Impius Aeneas, Roma 2013.

49 Codice cassinese (1350-1375?), Benvenuto da Imola (1375-80), Anonimo Fiorentino (1400?), Filippo Villani (1405), Johannis de Serravalle (1416-17). Il Villani cita esplicitamente Darete, l’Anonimo lo parafrasa in modo inequivocabile.

50 Gneo Nevio, Bell. Poen., frgg. 8, 10, 24, 25 Morel; Tito Livio, Ab Urbe condita, I, 1; Orazio, Carmen saeculare, 37-44, col commento di Porfirione ad locum; Seneca, Ad Helviam matrem, 7 e De beneficiis, VI, 36; Tiberio Donato, ad Aen., II, 200; Tertulliano, ad Nationes, II, 9; Servio, ad Aen., I, 241 e 649 e II, 15; Anonimo, Origo gentis Romanae, IX 1-4; Buoncompagno da Signa, Epistula mandativa ad comites palatinos, VI; Anonimo, Storie de Troia e de Roma, passim; Anonimo, Istorietta troiana, passim; Brunetto Latini, Trésor, I, 33; Andrea da Barberino, Huon d’Auvergne, II, 99. Dopo la morte di Dante ne parleranno tra gli altri Giovanni Boccaccio, De genealogiis deorum gentilium, VI, 53; Giovanni Villani, Nuova Cronica, I, 16.

51 Livre dou Tresor, I 33: “Come Enea arrivò in Italia. Quando Troia fu presa e messa a ferro e fuoco, e ci si uccideva gli uni gli altri, Enea il figlio di Anchise con il padre e Ascanio se ne uscirono dalla città portandosi un grandissimo tesoro e con una moltitudine di persone si salvarono. E perciò raccontano gli autori (Ditti e Darete, nda) che essi parteciparono al tradimento, e parecchi dicono che non ne seppero nulla se non alla fine, quando la cosa non potè esser evitata, ma comunque sia egli e tutta la sua gente se ne andarono per mare e per terra, un’ora prima o dopo, finché giunsero in Italia».

52 Ne sottolinea alcune Guido delle Colonne, a conclusione della sua trattazione (ne riportiamo la versione di Dello Russo, Michele, Storia della guerra di Troia di M. Guido delle Colonne, Napoli, 1868): «E bene s’accordano che Antenore ed Enea furono facitori del detto tradimento. Ma Darete disse che Polidama figliuolo d’Antenore se ne andoe di notte tempo alli Greci, ed in quella notte trattoe colli Greci il modo della presura di Troia, e che quando egli avesse renduto certo segno, ch’ elli si studiassero d’assalire Ilion. Disse ancora che li Greci di notte non intrarono in Troia per lo muro rotto, per cagione del cavallo del rame fatto da’ Greci, non facciendo alcuna menzione del cavallo predetto; ma elli disse ch’ elli entrarono per la porta di Stean, nella sommitade della quale porta era fabbricato uno capo d’uno cavallo; avvegna dio che Virgilio si concordi con Ditte del cavallo del rame. E per questa porta Stean disse Darete che Antenore ed Enea e Polidama ricevettero li Greci, ed indi diedero loro l’entrata; e che per loro di notte tempo fue Ilion occupato, e che in quello imprima fue messo Nettolemo figliuolo d’Achille». Per il tramite di Benoît de Saint-Maure, Guido, in questa parte conclusiva, segue Ditti, ma egli distrattamente non riferisce dell’assenso dell’esercito a rispettare le condizioni dell’infame patto.

53 Ad Aen., II, 163-170, Impius ex quo / Tydides sed enim scelerumque inuentor Ulixe, / fatale adgressi sacrato auellere templo / Palladium, caesis summae custodibus arcis, / corripuere sacram effigiem, manibusque cruentis / uirgineas ausi diuae contingere uittas; / ex illo fluere ac retro sublapsa referri / spes Danaum, fractae uires, auersa deae mens. A proposito di Sinone (il cui nome l’anonimo autore delle Istorie e l’Ottimo deformano in Simone) si notino i compiti molto diversi che gli vengono assegnati dai due autori e la qualifica di parente di Ulisse che gli attribuiscono l’Anonimo e il Landino.

54 Ne dà ampia prova il passo del Roman riportato infra, che delinea distintamente le diverse fasi della vicenda.

55 Vedi anche Guido delle Colonne, Historia destructionis Troiae, I, 30.

Per citare questo articolo

Referenza elettronica

Francesco Chiappinelli, « Spunti ‘alternativi’ sulla leggenda di Troia nella Commedia di Dante », Atlantide [On line], 2 | 2014, On line dal 01 décembre 2014, ultima consultazione: 09 octobre 2025. URL : https://atlantide.pergola-publications.fr/index.php?id=339

Autore

Francesco Chiappinelli

Attualmente in pensione, ha insegnato a lungo Italiano, Latino e Greco nei Licei di Stato in Italia. Ha pubblicato per Bonanno (Acireale-Roma), nel 2007, Impius Aeneas, in cui sono raccolte tutte le testimonianze classiche e medievali sul tradimento di Troia da parte dell’eroe virgiliano, e, nel 2013, L’altra Iliade, l’altra Odissea, premiato per giornalismo e critica al Premio Mario Soldati 2012.

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