«La più grande romanziera d’italia è una donna…». Prime cartografie dell’autorialità femminile: Francia-Italia, anni cinquanta

DOI : 10.56078/atlantide.1652

Résumés

A partire da tre esempi significativi - la figura della scrittrice italiana Alba De Céspedes e le scelte di pubblicazione delle case editrici italiane Einaudi e Longanesi - si studierà la questione dell’autorialità femminile fra il contesto italiano e francese nel corso degli anni cinquanta, mettendo in evidenza alcuni aspetti editoriali e traduttivi di tali dinamiche e scambi transnazionali. Lo studio, che si limita alle forme prosastiche, dapprima evidenzierà il ruolo di passeur fra cultura italiana e francese di Alba De Céspedes, considerata come « la più grande romanziera d’Italia » da alcuni critici letterari, focalizzandosi poi sulle politiche della casa editrice Einaudi e su quelle di Longanesi, orientate soprattutto sulla ricerca dello scandalo e sulla pubblicazione di best-seller, anche di autrici.

Starting with three significant examples - the figure of the Italian writer Alba De Céspedes and the publication choices of the Italian publishing houses Einaudi and Longanesi - the issue of female authorship between the Italian and French contexts during the 1950s will be studied, highlighting some editorial and translation aspects of such transnational dynamics and exchanges. The study, which is limited to prose forms, will first highlight the role as passeur between Italian and French culture of Alba De Céspedes, considered "the greatest female novelist in Italy" by some literary critics, then focus on the policies of the Einaudi publishing house and those of Longanesi, oriented above all on the search for scandal and the publication of best-sellers, including by female authors.

Plan

Texte intégral

Negli anni del Dopoguerra, la figura della femme-auteur (Reid, 2020) subisce un’evoluzione significativa, che coincide l’integrazione di molte intellettuali nelle redazioni delle riviste e delle case editrici, ma pure nel sistema dei premi letterari e della critica. Per la Francia, in quelli che Delphine Naudier ha definito « les réseaux de sociabilité mixtes avec les existentialistes », nonché « le Nouveau Roman, Tel Quel ou le jury du Prix Médicis» (Naudier, 2004, p. 192); per l’Italia, soprattutto nell’ambiente che ruota intorno alla casa editrice Einaudi, ancora egemonica fino almeno alla metà degli anni cinquanta.

In questo contesto, alcune autrici italiane- tradotte- vengono pubblicate in Francia e alcune autrici francesi- tradotte- vengono pubblicate in Italia. Le uscite, tuttavia, paiono non seguire linee editoriali precise, in un contesto segnato dall’esigenza di ricostruire non soltanto le macerie lasciate dal conflitto, ma anche il mondo della cultura e il campo letterario tout court. Ciò ha un significato particolare nel contesto italiano, dove gli anni del Fascismo erano stati caratterizzati da censure attuate proprio contro romanzi scritti da autrici: Natalia, di Fausta Cialente, ritirato poco dopo la stampa, nel 1930, e apparso alcuni anni dopo in Francia1, Nessuno torna indietro di Alba De Céspedes (Bonsaver, 2013, p. 151) e Nascita e morte della massaia di Paola Masino (Bernardini Napoletano & Mascia Galateria, 2001, p. 76). I primi due romanzi presentano i profili più problematici per il regime: in Natalia viene descritta la bildung dell’omonima protagonista, costellata da un amore omosessuale per l’amica d’infanzia Silvia; in Nessuno torna indietro, invece, i personaggi delle studentesse che risiedono al collegio Grimaldi paiono destabilizzare, con la loro pretesa di autonomia e libertà, il modello di ruolizzazione femminile imposto dal regime che la stessa Masino cerca di mettere in discussione. Nessuno torna indietro, tuttavia, conosce fin dalla sua uscita nel 1938 un successo formidabile: proprio alla vigilia del conflitto è tradotto nelle principali lingue europee, e viene poi recuperato efficacemente anche nei primi anni del Dopoguerra. Questi anni, oltre a essere segnati da alcuni episodi di censura, coincidono con la pubblicazione di autrici straniere « fuori norma » che sfuggono al controllo dello Stato, come Radclyffe Hall e la stessa Virginia Woolf (di cui viene pubblicato, nel 1928, Orlando), ma pure Colette, di cui Mondadori pubblicherà varie opere, quali La vagabonde, La chatte o L’entrave, a testimonianza di come l’apparato censorio del regime sia piuttosto labile e mostri nei riguardi di opere straniere se non una maggior tolleranza, senz’altro una minore attenzione.

Sarebbe molto complesso definire una tendenza comune fra le scrittrici che operano nel Dopoguerra e fino alla metà degli anni cinquanta: alcune descrivono l’esperienza della guerra (Natalia Ginzburg, Béatrix Beck) o la loro partecipazione alla Resistenza (Renata Viganò, Simone de Beauvoir), altre si interrogano sul mondo comune delle donne in un contesto patriarcale (Alba De Céspedes, sempre Simone de Beauvoir e Christiane Rochefort). Alcune scrittrici portano avanti progetti autonomi, fuori dalle linee di corrente e dalle classificazioni, come Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Gianna Manzini, Violette Leduc, Marguerite Duras o Nathalie Sarraute; altre, invece, si presentano come autrici nuove, modelli di libertà e autonomia, ma pure di trasgressione, come nel caso di Françoise Mallet-Joris, Françoise Sagan e Milena Milani. Pur riconoscendo alcune tendenze e linee ideologico-letterarie comuni, sarebbe allora inutile racchiudere in formule predefinite autrici che si caratterizzano ed emergono proprio in ragione della loro singolarità e di una chiara rivendicazione di autonomia e di autorialità. L’ambito editoriale, intorno a cui si muoverà in prevalenza questa analisi, potrà aiutarci a comprendere meglio la questione. Infatti, Einaudi propone in questi anni la pubblicazione di autrici come Elsa Triolet (Gli amanti di Avignone, 1948), Marguerite Duras (Una diga contro il Pacifico, 1951), Béatrix Beck (Léon Morin, prete, 1954) e Simone de Beauvoir (I mandarini, 1955); si tratta di autrici caratterizzate in modo piuttosto evidente dal punto di vista ideologico-dottrinale. Tale caratterizzazione, che pare riflettere i rapporti non sempre semplici della casa editrice con il comunismo italiano e con lo stesso Togliatti (Munari, 2011), situa comunque l’editore nel campo della sinistra politica, mostrando allo stesso tempo il bisogno di narrare l’esperienza della guerra o di interrogarsi sul ruolo degli intellettuali nella storia, rigettando nei fatti una prospettiva eccessivamente dogmatica.

Alla medesima altezza cronologica, l’editore Longanesi segue altre strade, pubblicando dapprima il romanzo Le rempart des béguines di Françoise Mallet-Joris (Gli amori impossibili, 1952) e i romanzi successivi (La camera rossa, 1956; La menzogna, 1958), poi Françoise Sagan (Bonjour Tristesse, 1954, che passerà poi a Bompiani) e alla fine del decennio Christiane Rochefort (Il riposo del guerriero, 1959). Si tratta di scelte molto limpide, che propongono un modello orientato su due polarità diverse da quelle di Einaudi: la tematica sessuale, anche nell’ottica di una profonda contravvenzione della norma e dell’ordine patriarcale; l’interesse per lo scandalo, in quanto molti dei romanzi citati sono al centro di un dibattito che assume toni moralizzatori, evidenziandone – come nel caso di Sagan (Falantin, 2023) – la dimensione più sovversiva da un punto di vista sociale e culturale.

Appare invece più frammentato il contesto francese. Si noterà l’assenza di traduzioni di Elsa Morante (che si avvieranno soltanto nel decennio successivo grazie al ruolo fondamentale del traduttore Michel Arnaud) e di Anna Maria Ortese (per le quali occorrerà aspettare addirittura gli anni Ottanta). L’autrice più nota è allora Alba de Céspedes, di cui vengono pubblicati in modo quasi sistematico tutti i romanzi, dapprima presso Albin Michel e poi presso Seuil. In quel decennio, escono in Francia anche altre opere di autrici italiane, come Renata Viganò2, Natalia Ginzburg (Nos années d’hier, 1956, per Plon), Maria Bellonci (Lucrèce Borgia, 1954, per Le Club du Livre), Gianna Manzini (L’épervière, 1958, per Stock, con una prefazione di Dominique Aury3), Livia de Stefani (La vigne aux raisins noirs, 1958, presso Seuil). Ai vuoti rappresentati dall’assenza di alcune autrici molto note in Italia, Morante su tutte, si accompagna la natura essenzialmente episodica di pubblicazioni che non paiono inserite in un contesto generale né tantomeno in un chiaro progetto editoriale, e che in molti casi si limitano ad un solo romanzo, cui non faranno seguito altre uscite. Tuttavia, non si tratta di una caratteristica ascrivibile soltanto alle femmes auteurs, se è vero che in quegli stessi anni anche le traduzioni francesi di Italo Calvino e, soprattutto, di Cesare Pavese sono ugualmente episodiche, se non frammentarie, testimonianza di una ricezione non uniforme e di politiche editoriali ancora alla ricerca di un’identità precisata.

Per gli anni Cinquanta sarà dunque utile concentrarsi su tre aspetti fondamentali: la ricezione francese di quella che viene definita da un critico «la più grande romanziera d’Italia», ovvero De Céspedes, e sulle scelte editoriali compiute in quel lungo decennio soprattutto da due case editrici: Einaudi e, in controcanto, Longanesi. Questo quadro cronologico, all’apparenza ridotto, consentirà nondimeno di osservare alcune tendenze comuni rispetto alla circolazione e alla pubblicazione di autrici tra Francia e Italia, evidenziando soprattutto i vuoti e i pieni che emergono e ci interrogano sulle modalità di costruzione del canone letterario tra i due paesi.

1.  Il caso alba de Céspedes

Se dagli anni Sessanta Alba De Céspedes si stabilisce a Parigi e inizia a scrivere in francese (Ciminari & Contarini, 2023), le sue relazioni con il contesto letterario d’Oltralpe risalgono alla fine degli anni Quaranta, quando il suo primo romanzo, Nessuno torna indietro è pubblicato presso le edizioni Albin Michel per la traduzione di Juliette Bertrand4, che insieme a Louis Bonalumi sarà una dei suoi due traduttori francesi. Il primo romanzo descrive la vita di una comunità di studentesse che vivono insieme in un collegio, il Grimaldi di Roma, ma si differenzia dalla lunga tradizione dei «romanzi di collegio» o di scuola ben rappresentati in entrambe le letterature (da Colette a Jeanne Galzy, da Jolanda a Marise Ferro): le protagoniste di Nessuno torna indietro sono infatti giovani adulte che studiano all’università, pronte ad abbandonare l’adolescenza per aprirsi al mondo e confrontarsi, spesso in maniera conflittuale, con il genere maschile, uscendo quindi da un contesto rigidamente omosociale.

A partire dal romanzo successivo, saranno le Éditions du Seuil a proporre al pubblico francese titoli come Quaderno proibito, Dalla parte di lei (Elles)5, Prima e dopo. La pubblicazione di questi romanzi, che proseguirà anche nel decennio successivo, genera una messe di recensioni, articoli e inchieste su De Céspedes: il mondo della critica letteraria e quello del giornalismo culturale, infatti, identificano la sua opera come un modello narrativo che problematizza questioni complesse come il patriarcato, la maternità e i modelli di coniugalità e di femminilità imperanti a quell’altezza cronologica, focalizzandosi sugli aspetti tematici e di genere. Un’analisi della revue de presse sull’autrice conservata all’IMEC di Caen, nei fondi della casa editrice Seuil, ci testimonia un notevole interesse della critica sia nei confronti dei romanzi, in particolare di quelli che si pubblicano a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, sia nei confronti dell’originale esperienza biografica dell’autrice. Così la definisce, su Jour de France, il giornalista Marcel Mithois, sottolineando come «la più grande romanziera d’Italia» sia «una donna»:

La plus grande romancière d’Italie est une femme, blonde, séduisante, au regard bleu pâle et perçant, tantôt fixe comme celui de l’oiseau et tantôt filtré par les cils baissés, il fascine. Le petit menton pointu indique son esprit désinvolte, indépendant et même combatifs dès que les libertés de la femme sont en jeu. (Mithois, 1959, p. 65)

Già l’anno precedente, su Marie-France De Céspedes era presentata semplicemente come «la plus grande romancière d’aujourd’hui». Ora ravvicinata, forse impropriamente, a Colette, ora identificata come un’autrice femminista, che denuncia il «mal d’être femme» (Grégoire, 1959) e che, dalla sua posizione di donna, descrive l’esistenza degli uomini, De Céspedes negli anni cinquanta realizza anche numerosi reportage dalla Francia per riviste italiane, fra le quali Epoca. In questo estratto, pubblicato sul settimanale di Mondadori, l’autrice si focalizza sulla questione dell’autorialità femminile, raccontando di un uomo che ha incrociato in una libreria, intento ad acquistare una copia del romanzo Le Planétarium di Nathalie Sarraute :

«Vorrei anche quel libro, scritto da una donna, Le planétarium, o qualcosa di simile». Le planétarium, di Nathalie Sarraute, è un romanzo di indubbio valore letterario, accolto con gran favore dalla critica. Tuttavia il cliente trovò necessario aggiungere: «Sa?, è per mia moglie» e il sorrisetto che accompagnava questa spiegazione voleva, evidentemente, giustificare la futilità di quella scelta. Poi mise i libri sotto il braccio, badando che la copertina sulla quale era disegnato un ufficiale con stivali, speroni e baffi arditi mostrasse il carattere virile delle sue letture, ed uscì soddisfatto. (De Céspedes, 1959a, p. 78-79)

Il successivo dialogo tra la libraia e una De Céspedes cronista di alcuni aspetti culturali e letterari del contesto francese mette al centro la questione del genere in letteratura, evidenziando come difficilmente gli uomini ammettano di leggere libri scritti da autrici, sovente tacciati di futilità o ascritti alla letteratura rosa o leggera; alla fine degli anni Cinquanta, del resto, la riflessione di De Céspedes si orienta almeno in parte sulla questione dell’autorialità femminile, anche in un’ottica di passaggio e trasmissione fra contesto italiano e francese.

Nel decennio successivo, questo passaggio si materializzerà poi nell’attraversamento di una soglia linguistica: dapprima Chansons des filles de Mai (Seuil, 1968) e poi il romanzo Sans autre lieu que la nuit (Seuil, 1973) saranno scritti da De Céspedes direttamente in francese. La traiettoria si mostra in tutta la sua originalità, rappresentando un caso pressoché unico nel panorama autoriale italo-francese: De Céspedes è infatti un’autrice che non semplicemente conosce un successo analogo in Francia e in Italia, ma che verso la fine della propria carriera opta per scrivere in una lingua che le è straniera. Non si tratta, all’apparenza, di una grande novità: si potrebbero citare la poeta Nella Nobili, che iniziò a scrivere in francese dopo il suo trasferimento a Parigi, o la stessa Agota Kristof6. La differenza di De Céspedes è però rappresentata dal suo forte radicamento nel contesto francese sin dagli anni del Dopoguerra, nonché dal suo essere integrata a quel sistema culturale: una scrittrice che non soltanto attraversa due lingue, ma che attraversa vivacemente i contesti culturali di entrambi i paesi, come mostrato nel recente volume collettivo diretto da Ciminari e Contarini (2023), assumendo a tutti gli effetti il ruolo di passeuse.

2.  Einaudi: alla ricerca di un’identità

Tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, anche Einaudi pubblica i romanzi di alcune autrici francesi; come già evidenziato, le uscite non rispondono a un progetto di pubblicazione specifico, ma piuttosto alle scelte della redazione e all’accoglimento di proposte puntuali giunte da una pluralità di soggetti. Dietro a ciascun libro c’è una storia singolare, fatta di incontri, episodi e scelte, nonché un determinato contesto. L’uscita, per la traduzione di Elena Giolitti7, de Gli amanti di Avignone di Elsa Triolet, nel 1948, può ad esempio essere letta in parallelo con l’uscita, nello stesso periodo, di altre testimonianze narrative della Resistenza, come Il sentiero dei nidi di ragno, del 1947, di Calvino, o L’Agnese va a morire di Viganò, del 1949. I verbali di redazione non ci forniscono molte informazioni in merito, poiché riprendono solamente l’esigenza di formulare una richiesta all’Ambasciata francese di Roma riguardo la pubblicazione del libro di Triolet. Il verbale è del 25 giugno 1945, mentre l’uscita avverrà solo tre anni dopo (Munari, 2011, p. 34): sotto il titolo Gli amanti di Avignone sono raccolti quattro racconti, con in testa quello eponimo, usciti in Francia nel 1944 ma con il titolo di un altro racconto, Le premier accroc coûte deux cents francs. A corroborare la tesi che si tratti di una pubblicazione episodica, legata al contesto post-resistenziale, contribuisce il fatto che di Triolet non venga pubblicato nient’altro e che di Louis Aragon l’editore Einaudi scelga di tradurre e proporre, ben dieci anni dopo, un solo romanzo (degli anni Trenta), Les cloches de Bâle, condannando l’esperienza di scrittura di Aragon e Triolet a un sostanziale oblio, solo in parte colmato dall’uscita di componimenti poetici del primo su alcune riviste italiane, in larga parte vicine al comunismo italiano (Caristia, 2018).

Del resto, in quegli anni, lo sguardo della casa editrice verso il contesto francese pare piuttosto multiforme e spurio: a romanzi che raccontano l’esperienza resistenziale o più generalmente quella dell’occupazione (Vercors, Il silenzio del mare, 1945), si accompagnano testimonianze della temperie esistenzialista (Il muro e La nausea di Sartre) e opere atipiche, come Le amicizie particolari di Roger Peyrefitte e Il pantano di Raymond Queneau. Ben diversa, invece, è la ricezione italiana di Marguerite Duras. Sono note le parole entusiastiche di Calvino verso l’autrice, in una lettera inviata a Elio Vittorini nel luglio 1950:

Caro Elio, da tempo non mi capitava di leggere un libro bello come il Barrage contre le Pacifique. L’ho letto da pochi giorni e non parlo d’altro: ma siccome non so che emettere esclamazioni d’entusiasmo, nessuno mi crede. Ora l’ho mandato a Natalia che è in montagna. […] Ma io non mi aspetto di vedere un libro così uscire dalla letteratura francese d’oggi. Di’ alla Duras che la amo moltissimo. Quella vecchia! Quel paesaggio! L’automobile! Quella ragazza! Quei dialoghi! Lui, il giovane! E quel tale del diamante! Gli indigeni! È un gran bel libro senz’altro. Ciao. (Calvino, 1991, p. 27)

Il «gran bel libro» che è Le barrage contre le Pacifique appare infatti nel 1951, per la traduzione di Giulia Veronesi, che proprio in quegli anni risiede a Parigi ed è nota soprattutto per l’attività svolta come storica dell’architettura. La pubblicazione del romanzo avviene ad un anno dalla sua uscita in Francia per la bianca di Gallimard dapprima per la collana «I gettoni» (in cui nel 1954 sarà pubblicato L’espèce humaine di Robert Antelme, compagno di Duras), in seguito per i «Coralli». Il libro successivo di Duras sarà I cavallini di Tarquinia, pubblicato nel 1958 per i «Supercoralli», questa volta per la traduzione di Maria Giunti. Un’analisi delle pubblicazioni di Marguerite Duras in Italia ci restituisce da un lato la volontà della casa editrice Einaudi di far conoscere l’opera dell’autrice, seppure con una certa parsimonia forse dovuta anche alla gran mole di collane imbastite e di opere pubblicate in quel periodo ; dall’altro lato la dimensione estremamente frammentaria della ricezione italiana di Duras : molti dei suoi romanzi, anche degli anni quaranta e cinquanta, saranno disponibili in italiano solo decenni dopo, grazie ad altri editori. È il caso de La vie tranquille, uscito in Francia nel 1944 e proposto per la pubblicazione a Einaudi già nel 1945. Il giudizio di Natalia Ginzburg su questo libro non è positivo: La Vie Tranquille è infatti considerato come un romanzo «interessante, ma nell’insieme non realizzato», forse pubblicabile se non ci fosse il costo della traduzione, perché «tradurlo dal francese non mi pare il caso»8. Nonostante una recensione positiva di Fortini sul Politecnico (Fortini, 1947, p. 85), il romanzo uscirà solo nel 1996, per Feltrinelli, editore che a partire dal decennio precedente pubblicherà la gran parte delle opere di Duras. In un verbale del novembre 1960, poi, si registra una «discussione lunghissima» sulla pubblicazione della sceneggiatura Hiroshima mon amour (1959) che avverrà nella collana dei «Coralli» con la contrarietà di Bollati, Solmi, Caprioglio e dello stesso Fortini, mentre con l’entusiasmo di Calvino secondo il quale «forse la lett. di sinistra finisce con questo film: almeno certa lett. storica esistenziale» (Munari, 2011, p. 412).

Se negli stessi anni, in Francia, De Céspedes conosce un grande successo; la scrittura di Duras non è certo così popolare in Italia, né tantomeno oggetto di rassegne critiche e di una visibilità mediatica tanto impressionante. Tuttavia, anche i rapporti fra Duras e l’Italia sono stretti (Melon, 2001; Bertola-Melon, 2008), in particolare nei primi anni del Dopoguerra, quando il trio Duras-Mascolo-Antelme frequenta, com’è noto, i già citati Vittorini e Fortini. Negli anni Cinquanta, Einaudi pubblica anche un romanzo di Simone de Beauvoir, Les mandarins, e uno di Béatrix Beck, Léon Morin, prêtre. Per quanto riguarda Beck, anche in questo caso la pubblicazione sembra episodica, slegata da un progetto specifico ma piuttosto dovuta a sollecitazioni esterne e a proposte che giungono sia d’Oltralpe che da altri autori italiani : vengono pubblicati, sotto il titolo di Léon Morin, prete, tre racconti dell’autrice belga, ma il progetto successivo, annunciato in una riunione dell’ottobre 1954 (Munari, 2011, p. 147), di pubblicare anche Des accommodements avec le ciel non viene poi portato a compimento, tanto che la trasmissione della prolifica opera di Beck in Italia si è fermata agli anni cinquanta. Un trafiletto su La civiltà cattolica mette in luce «le idee molto poco esatte in materia religiosa» dell’autrice, attaccando «la sollecitudine di divulgare […] principi cari ai fautori di un’ideologia deleteria e sovversiva»9 che non viene nominata ma è il comunismo, cui aderisce la protagonista di Léon Morin, prêtre. A colpire il recensore del quotidiano cattolico è senz’altro la figura non canonica di un prete moderno e progressista, che condurrà tuttavia la narratrice verso la possibilità di un’inattesa conversione. Il libro di Beck sarà anche oggetto, pochi anni dopo, nel 1961, di una co-produzione italo-francese, il film con il medesimo titolo diretto da Jean-Pierre Melville.

Per quanto riguarda invece Simone de Beauvoir, la sua ricezione italiana è molto più stratificata e complessa. Associata più a Sartre e all’esistenzialismo che alla riflessione femminista de Le deuxième sexe (del 1949) per la quale invece sarà oggetto in Italia di un recupero consistente sin dai primi anni settanta, nell’ambito della cosiddetta «seconda ondata», i suoi libri vengono pubblicati da Einaudi ma pure da altre case editrici, come Mondadori, che è la prima a farlo: Tous les hommes sont mortels esce infatti nel 1948, nella collana «La Medusa». A tradurla è il critico Giancarlo Vigorelli, che manterrà solidi legami con la coppia Sartre-Beauvoir fino agli anni Settanta. Solo sette anni dopo, il romanzo Les mandarins, del 1954, apparirà in italiano, tradotto da Franco Lucentini. Nello stesso anno, Feltrinelli, appena fondata come vera e propria casa editrice, pubblica anche L’Amérique au jour le jour (1948, poi ripreso da Gallimard nel 1954), ricca testimonianza – senz'altro nel solco dell’esistenzialismo filosofico – di un viaggio americano condotto da Beauvoir nei primi quattro mesi del 1947 e dove si trova traccia della sua relazione con Nelson Algren : se Einaudi continua a seguire la linea di una letteratura impegnata, legata in questo caso all’eredità intellettuale dell’esistenzialismo, Giangiacomo Feltrinelli opta per il diario di un viaggio negli Stati Uniti, a testimonianza dell’interesse dell’editore per l’universo culturale americano, oltreché per forme e temi meno canonici.

L’uscita del romanzo di de Beauvoir merita un affondo, perché l’argomento resistenziale ed esistenzialista stona con il contesto in cui è pubblicato, venendo percepito come un corpo estraneo rispetto allo spirito del tempo: per alcuni recensori, la pubblicazione di Les Mandarins forse avviene, come sostengono alcuni critici, «con dieci anni di ritardo», in un contesto segnato da nuovi interessi tematici e da un diminuito interesse nei confronti della temperie intellettuale esistenzialista, sebbene Sartre rappresenti, nel contesto italiano, ancora la principale figura intellettuale d’Oltralpe. Einaudi non pubblica dunque tutta l’opera di Simone de Beauvoir, ma effettua una selezione : un’analisi delle scelte compiute anche nel corso degli anni Sessanta mostra come l’editore torinese prediliga le opere di carattere narrativo e autobiografico, da Mémoires d’une jeune fille rangée a Une mort très douce, per non fare che due esempi ; Le deuxième sexe uscirà infatti solo nel 1961 – dunque con almeno dodici anni di ritardo – presso la giovane casa editrice Il saggiatore, che ha già pubblicato Sartre e intellettuali francesi come Lévi-Strauss, con l’obiettivo dichiarato di uscire dal clima conformista e dogmatico mostrato da una certa editoria coeva (Cadioli, 2017).

Come considerare dunque le scelte di Einaudi rispetto alle autrici francesi prese in esame nel corso degli anni Cinquanta? Probabilmente come la testimonianza di scelte episodiche che riflettono tuttavia una chiara prospettiva ideologica e letteraria, ora legata all’esperienza bellica e resistenziale ora alla temperie esistenzialista e alle sue ricadute sulla forma romanzo ; negli anni Sessanta, la scelte di Einaudi non saranno molto diverse (Monique Lange e, come già rilevato, altre opere di Simone de Beauvoir), aprendosi poi, soprattutto grazie al progetto della collana «La ricerca letteraria» ad autrici vicine al Nouveau Roman come Nathalie Sarraute (Martereau, 1966) e soprattutto Monique Wittig, pubblicata prontamente in italiano per la traduzione di Clara Lusignoli (L’Opoponax, 1966).

3.  Longanesi: reazione e scandalo

Molto diverso da quello di Einaudi sembra essere, invece, il progetto editoriale di Longanesi. Come nota Giorgio Montecchi, infatti, la linea ideologico-operativa della casa editrice è un ibrido interessante, volto a «coniugare le esigenze del mercato, perseguendo una politica del best seller magari scandaloso e sessualmente conturbante» e, allo stesso tempo «di dare spazio a uno spirito di fronda, aggressivo in quanto a modelli di scrittura, e tramite il quale la nostalgia politica e culturale per il Ventennio trapassa in anticonformismo» (Montecchi, 2001, p. 137). Un’analisi delle scelte di pubblicazione di alcune autrici francesi nel corso di questo decennio mostra chiaramente l’esigenza di portare avanti un progetto editoriale che cerca lo scandalo, attraverso la pubblicazione di romanzi che descrivono una sessualità non normativa e tentano di ridiscutere i rapporti fra generi e soggettività. Del resto gli anni cinquanta sono caratterizzati dall'emergere di varie figure autoriali scandalose, che nei loro romanzi hanno scelto di parlare di sessualità e rapporti fra uomini e donne mettendo in crisi le norme e generando spinose polemiche nell'ambito letterario: se il caso per eccellenza è rappresentato dalla pubblicazione di Bonjour Tristesse di Françoise Sagan (1954), si potrebbero inserire in questa schiera anche Le rempart des béguines di Françoise Mallet-Joris (1952) e Le repos du guerrier di Christiane Rochefort (1958). Tutti questi romanzi vengono pubblicati, anche con una certa rapidità, proprio da Longanesi, nel quadro di un più ampio progetto che coinvolge ad esempio scrittrici americane come Carson McCullers (Riflessi in un occhio d’oro, 1955). Alcune delle scelte di Longanesi paiono dunque opporsi, con la loro dirompenza post-ideologica, all’approccio moralista proprio sia del comunismo italiano sia della chiesa cattolica, che rappresentano in questo periodo storico le forze egemoni, affermando allo stesso modo la già citata politica del best-seller che darà in alcuni casi esiti notevoli dal punto di vista commerciale.

La prima scelta ricade su Le rempart des béguines, romanzo nel quale viene rappresentato un amore lesbico fra la protagonista, una giovane poco più che adolescente, e l’amante del padre. Due sono gli aspetti interessanti, nel deserto critico che accompagna l’uscita di questo romanzo: la scelta dei traduttori, ovvero gli intellettuali napoletani Anita e Luigi Compagnone, che proprio nei primi anni cinquanta si dedicano congiuntamente alla traduzione dal francese di autori quali Blondin e Queneau ; e la scelta, probabilmente dettata da esigenze editoriali, di rendere con «amori impossibili» l’intraducibile toponimo Le rempart des béguines, insistendo sulla costitutiva impraticabilità degli amori lesbici, in particolare in un ménage così complesso come quello che si sviluppa intorno alla famiglia della giovane protagonista.

Il secondo libro è invece Bonjour Tristesse, che conosce un grande successo anche in Italia e che sarà oggetto di numerose ristampe. La traduzione è firmata da Ruggero Sandanieli (Viano, 2021), nom de plume utilizzato in più di un’occasione da Henry Furst, che in quegli anni è un collaboratore stretto di Leo Longanesi (Ungari, 2007, p. 49). Non si può tuttavia attribuire con certezza la traduzione di Bonjour tristesse a Furst: è infatti probabile che la traduzione sia opera di Furst e della moglie, la scrittrice Orsola Nemi, o della sola Nemi, peraltro già traduttrice di Flaubert e Maupassant10.

Le recensioni a Bonjour tristesse sono moltissime. Alcune – come quelle apparse su La civiltà cattolica o su Vita e pensiero – criticano l’immoralità del racconto di Sagan; altre identificano nella giovane e precocissima scrittrice quasi un’epigona di Colette; altre ancora, come quella di Tommaso Landolfi (Landolfi, 2002, p. 156-157), contestano lo scarso valore letterario dell’opera, sottolineando come:

non già che alla giovinetta autrice manchino qualità specifiche o piglio narrativo o esperienza intellettuale o finezza psicologica, ma certo tutte insieme queste qualità non compongono ancora una rivelazione eccezionale, e comunque è proprio in rapporto ad esse che una nostra desolazione prende consistenza. (Landolfi, 2002, p. 156)

Abbandonata la casa editrice Longanesi, Sagan passerà poi a Bompiani, che pubblicherà molto tempestivamente11 le altre sue opere a partire da Un certain sourire nel 1956. Bonjour tristesse, tuttavia, per essere stato un caso letterario particolarmente rappresentativo resterà nella memoria dei lettori e dei critici, venendo sovente utilizzato come pietra di paragone non soltanto per i successivi libri di Sagan, ma pure per nuovi romanzi considerati come scandalosi, ad esempio La Bâtarde, di Violette Leduc, pubblicato da Feltrinelli nel 1965. E in questa prospettiva, Sagan sarà a sua volta identificata come un modello primario di scrittrice precoce, scandalosa e spregiudicata. A prendere le sue difese è poi la stessa Alba De Céspedes, che tenta di riportare il discorso intorno all’opera di Sagan sul piano della scrittura:

Vogliamo davvero, con tutto quello che giovani e anziani pubblicano oggi, nel mondo, che i libri di Françoise Sagan siano scabrosi? Possono forse sembrare tali a chi legge o consiglia i romanzi rosa e che dunque non è al corrente della letteratura. Il suo ultimo libro, dicono tutti con certa soddisfazione, era inferiore agli altri due. È vero. Ma non capiscono che sono proprio i veri scrittori, quelli che non hanno una formula, a sbagliare nel tentativo di esprimere qualcosa di nuovo, di diverso. Se Françoise Sagan è una scrittrice, il tempo le darà ragione. Col libro che sta scrivendo ora o con uno che scriverà tra dieci anni. (De Céspedes, 1959b, p. 66)

Nonostante il passaggio di Sagan a Bompiani, Longanesi mantiene invariato il proprio progetto editoriale: pubblica nuove opere di Mallet-Joris, a partire da La chambre rouge nel 1956, e soprattutto sceglie di proporre al pubblico italiano Le repos du guerrier di Christiane Rochefort (1959), un’opera ritenuta scandalosa per la scelta di dare voce e legittimità all’erotismo femminile, partendo dalla prospettiva soggettiva della protagonista (Hardouin-Zanardi, 2023). Il marketing della casa editrice è particolarmente originale: il libro, tradotto da Giuliano Loresi (anche in questo caso, uno pseudonimo12), è accompagnato da una fascetta che lo descrive come «il romanzo che ha fatto arrossire la signora De Gaulle» (Evola, 2008, p. 447). La critica lo assimila, del resto, a Bonjour tristesse e, pur notando una maggiore complessità rispetto al romanzo di Sagan, lo inserisce ben presto nella schiera di libri che suscitano scandalo e che solo per suscitare scandalo fra i benpensanti pare siano stati scritti. Se nel corso di tutti gli anni Sessanta si registrano nuove ristampe del romanzo, ciò significa che Il riposo del guerriero – complice probabilmente anche il film di Roger Vadim nel 1962 – conosce un successo notevole nel contesto italiano, non eguagliato dalle opere successive, che vengono pubblicate solo parzialmente, sempre da Longanesi e da Bompiani.

La linea seguita da Longanesi ispira in realtà anche altre case editrici, come la già citata Bompiani ma pure Mondadori, che tenta allo stesso modo di proporre al pubblico italiano alcuni casi letterari apparsi in Francia nel corso del decennio. Un esempio di questa tendenza è rappresentato dal romanzo Je jure de m’éblouir di Éveline Mahyère, del 1958, che esce per la collana «Narratori d’oggi» della casa editrice milanese e che si configura come un caso letterario sia per la vicenda di omosessualità femminile intorno a cui si articola tutta la trama, sia per il suicidio dell’autrice, già annunciato nel titolo stesso del romanzo (Giuro di uccidermi, nella traduzione italiana di Carla Verga).

Ma per la traduzione italiana di quello che è forse il libro maggiormente scandaloso del decennio, ovvero Histoire d’O di Pauline Réage (1954) bisognerà aspettare il 1968, con la prima versione, apparsa presso le edizioni E.L.D.F., e poi con il volume Bompiani, uscito nel 1971 e prefato da Alberto Moravia. Uno scandalo che, almeno per l’Italia, si protrarrà nel tempo: nel 1984, la versione cinematografica del sequel di Histoire d’O, realizzata da Éric Rochat, è infatti oggetto di censura da parte dell’apposita commissione costituita presso il Ministero dello Spettacolo.

4.  Conclusioni provvisorie

Fino a questo punto, si sono messe in evidenza alcune tendenze e pratiche di scambio fra il contesto italiano e francese, utilizzando una chiara prospettiva epistemologica: quella del concetto di «autorialità femminile» non semplicemente come elemento di interesse tematico e biografico, ma come orientamento critico che si lega a un discorso diverso sulla costruzione del canone, in una prospettiva transnazionale. In quest’ottica, si sono scelti tre casi particolarmente rappresentativi: la figura di Alba De Céspedes e quelle di due case editrici italiane, Einaudi e Longanesi, che nel corso degli anni cinquanta sviluppano numerosi progetti di pubblicazione di autrici francesi.

In questa disamina, il 1959 è stato identificato arbitrariamente come l’anno in cui si conclude la nostra riflessione, in quanto coincide con la pubblicazione in Italia di un’autrice che segnerà una significativa trasformazione di tali rapporti. Si tratta dell’uscita delle prime opere di Nathalie Sarraute: L’ère du soupçon, per Rusconi13, e di un volume che contiene Tropismes, Portrait d’un inconnu e Conversation et sous-conversation per Feltrinelli. Tali uscite, in parte tardive se si considera che Tropismes risale addirittura al 1939, sanciscono un passaggio fondamentale: l’autrice forse più significativa del Nouveau Roman14 è resa infatti disponibile al pubblico italiano, aprendo una nuova fase, di cui si coglieranno i frutti nel corso degli anni sessanta. In quel nuovo decennio, altre date assumono un significato rilevante: il 1963, anno in cui viene pubblicata la prima traduzione francese di un’opera di Elsa Morante (L’Isola di Arturo); e il 1965, anno nel quale la pubblicazione italiana de La Bâtarde di Violette Leduc consentirà di riconsiderare nel profondo i rapporti fra forma romanzo e autobiografia, esercitando una notevole influenza su alcune scrittrici italiane coeve, come Goliarda Sapienza (Trevisan, 2020).

Future prospettive di ricerca, finalizzate a considerare anche gli aspetti traduttivi e soprattutto i rimandi intertestuali, potranno senz’altro elucidare in modo più efficace e con maggior profondità altri aspetti delle dinamiche di pubblicazione delle autrici italiane in Francia e di quelle francesi in Italia. In questa sede, infatti, si volevano proporre alcuni elementi di carattere storico e storico-culturale che ci paiono fondamentali per avviare indagini che permetteranno di esplorare i plurimi intrecci fra due spazi letterari complementari e vicini, partendo da un posizionamento teorico preciso: quello del genere come carattere essenziale per analizzare ed interpretare la storia letteraria, i processi di canonizzazione, le scelte del mondo editoriale fra Italia e Francia nel corso del secolo breve.

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Notes

1 Il romanzo, che passerà quasi completamente sotto silenzio, esce nel 1932 per la Nouvelle Librairie Française, con la traduzione di Henri Marchand. Cialente assume anche il cognome del marito, risultando come Fausta Terni-Cialente.

2 Uscito in Italia nel 1949, L’Agnese va a morire verrà pubblicato per la prima volta in francese per una casa editrice vicina al Partito comunista, Les éditeurs français réunis, nel 1953, con il titolo Agnès va mourir, con traduzione di Jean e Pierre Noaro. La circolazione sarà invero modesta e il volume sarà ripreso anche successivamente, nel 2009, con traduzione di Anne Camus-Puggioni.

3 Dominique Aury diventerà nota in Italia solo negli anni Settanta, quando sarà identificata come l’autrice – Pauline Réage – di Histoire d’O.

4 La figura di Juliette Bertrand è di grande interesse storico-culturale e si configura come una delle più importanti traduttrici dell’epoca. Il suo carteggio con autori quali Palazzeschi e Moretti testimonia molto chiaramente di questo forte legame e della condizione di passeur fra la cultura italiana e francese esercitato da Bertrand.

5 De Céspedes si riferisce a Elles come a un « mauvais titre » assegnato dall’editore indipendentemente dalla volontà dell’autrice.

6 Ci riferiamo in particolare ad A. Kristof, L’analphabète, Genève, Zoé, 2004.

7 Si segnala che Elena Giolitti, come Natalia Ginzburg, è una dei traduttori di Proust per Einaudi. La sua versione italiana di Sodome et Gomorrhe risale al 1950.

8 Archivio Einaudi, Giornale di Segreteria, 10 giugno 1946.

9 «Civiltà Cattolica», 1955, vol. I, quad. 2512, 12 febbraio 1955, p. 440.

10 Tale ipotesi dovrà essere suffragata, in futuro, da opportune ricerche archivistiche che allo stato attuale, anche in ragione dell’indisponibilità dei fondi documentari della casa editrice Longanesi, non è possibile avviare.

11 Per tutti gli anni Cinquanta, infatti, la data di pubblicazione in Francia coincide con quella della versione italiana.

12 Le rarissime tracce intorno a Giuliano Loresi conducono verso Giacomo Falco, già traduttore italiano di Flaubert e Beckett. Falco, infatti, nel 1944 aveva tradotto con quello pseudonimo un volume dei Goncourt: lo pseudonimo si era reso necessario perché il traduttore era ricercato dalla polizia della Repubblica sociale italiana.

13 La casa editrice Rusconi e Paolazzi mostrerà, soprattutto fra gli anni cinquanta e i primi anni sessanta, un certo interesse nei confronti degli autori francesi. Si noterà come Rusconi sia la sola casa editrice ad aver pubblicato, in quel periodo, un’opera di Hélène Bessette: Vingt minutes de silence, nel 1961, forse proprio sulla scia di questo interesse nei riguardi del Nouveau Roman.

14 Del 1959 è anche la traduzione italiana, a cura di Oreste del Buono, de La modification di Michel Butor, altra opera fondativa del cosiddetto Nouveau Roman.

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Référence électronique

Jessy Simonini, « «La più grande romanziera d’italia è una donna…». Prime cartografie dell’autorialità femminile: Francia-Italia, anni cinquanta », Atlantide [En ligne], 16 | 2025, mis en ligne le 01 mars 2025, consulté le 06 juillet 2025. URL : https://atlantide.pergola-publications.fr/index.php?id=1652

Auteur

Jessy Simonini

Ancien élève de l’ENS de Paris (SIL 2016) et de l’Université de Nantes, archiviste-paléographe, Jessy Simonini est actuellement doctorant en littératures comparées dans les universités de Udine et Trieste. Il s’est intéressé à l’auctorialité féminine ainsi qu’aux rapports entre littérature et politique. Il a publié plusieurs articles dans des volumes collectifs ainsi que dans des revues comme Engramma, Elephant & Castle, Italienisch, Sinestesie et Ticontre.

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