Per i suoi intenti celebrativi, per la dimensione divino-religiosa che indispensabilmente vi assume Augusto, per i riecheggiamenti alla dimensione mitologica e a quella storica sintetizzati nella figura di Enea, il Carme Secolare è il componimento più virgiliano della raccolta lirica oraziana. Fu d’altronde evidenziato immediatamente già nell’antichità come bellante prior, iacentem / lenis in hostem dei vv. 51-52 richiamasse il parcere subiectis et de- bellare superbos della parte finale della profezia di Anchise; e la presenza di Enea, castus progenitore della stirpe romana, avrebbe così fatto del Carme Secolare non solo una esaltazione della Roma augustea ma un tributo significativo a Virgilio e alla sua Eneide1. Questa lettura ‘virgiliana’ del carme offerta dagli antichi commentatori, sopravvissuta e rafforzatasi con l’esegesi moderna, appare però in qualche caso forzata, spinta dall’intento di leggere l’Eneide come ipotesto oraziano o, ancor più, di leggere il Carme Secolare alla luce dell’esegesi serviana all’Eneide2.
In un’ottica chiaramente virgiliana sono stati interpretati i versi in cui compare il nome di Enea: cui per ardentem sine fraude Troiam / castus Aeneas patriae superstes / liberum munivit iter, daturus / plura relictis (vv. 41-44)3. Secondo il commento pseudoacroniano il sine fraude alluderebbe – e confuterebbe, attraverso il sine – all’inganno del cavallo a causa del quale la città fu incendiata, ma analogamente allo stesso tradimento dell’eroe, patriae superstes, che riuscì ad aprire un varco per i suoi compagni4:
Aut ut Troia non proditione videretur eversa, sed fato, aut ‘sine fraude’ ‘sine laesione’, ut (carm. II, 19, 20): Bisthonidum sine fraude crines. Non ‘sine fraude ardentem’, sed ‘sine fraude iter munivit’ Aeneas.
* Quidam enim putant Aeneam patriae superstitem fuisse, quod iuxta quorundam opinionem crimine proditionis sit dampnatus5.
La tradizione di Enea proditor6 trae argomentazione dell’Iliade stessa, allorquando Poseidone vaticina che la stirpe di Enea è destinata a non perire7, ma sembra trovare fondamento in un luogo del libro XIII in cui si legge di come Deifobo, recatosi presso Enea per esortarlo a combattere contro Idomeneo, lo trovi inerte giacché Priamo, nonostante il valore dimostrato in battaglia, non ne valorizza le prodezze8, probabile eco di una versione del mito diffusa in una dimensione orale, background dei poemi epici9. L’astio tra la casata di Priamo e quella di Enea sarebbe dipesa dal fatto che essi discendevano a pari grado da Zeus e avevano pertanto il medesimo diritto a regnare sulla Troade10. Strabone riferisce, difatti, di una tradizione secondo cui Enea non avrebbe mai lasciato la patria e, sopravvissuto alla guerra per l’inimicizia con Priamo, avrebbe regnato a Scepsi11. Veniva in tal modo confutata una fondazione di Roma da parte dei Troiani, i quali non avrebbero invece mai raggiunto l’Occidente, e la vicenda di Enea assumeva così un evidente valore ideologico-politico12.
La diffusione della tradizione di Enea proditor risulta essere sempre legata a motivazioni ideologiche anti-romane13: si verificò innanzitutto all’epoca della venuta di Pirro in Italia, come testimoniato dall’Alessandra di Licofrone14. Il motivo ebbe poi nuova fortuna nell’età dell’espansionismo di Roma in Grecia e in Asia, alla quale è da ricondurre Menecrate di Xanto citato da Dionigi di Alicarnasso (I, 48). Un terzo momento è dato dalla guerra sillana contro Mitridate: parlano di tradimento infatti Sisenna – che in realtà, stando alla fonte che lo cita, accusa soltanto Antenore15 – Alessandro di Efeso e Lutazio16. Anche in questo caso si tratta però di testimonianze indirette, e a citare tali autori sono fonti tarde, Servio e l’anonimo autore dell’Origo gentis Romanae, opera collocabile tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C.17
In età tardo-antica si diffuse un vero e proprio revival del motivo del tradimento che appare non esclusivamente connesso con la dimensione ideologica18. Il luogo più celebre in questo senso, e dal quale sembra dipendere il redattore della nota pseudoacroniana, è il commento serviano al verso 242 del primo libro dell’Eneide19. Venere si sta lamentando con Giove delle peripezie che il figlio è costretto ad affrontare, a differenza di Antenore al quale era stato invece concesso di giungere presso i lidi illirici. Il commentatore si chiede la motivazione di questo esempio, dal momento che vi furono altri profughi sopravvissuti. Insinua pertanto che la scelta di Virgilio sia stata dettata dalla condizione che accomunerebbe i due personaggi, entrambi proditores patriae20 come testimoniato da Livio21 o dallo stesso Virgilio quando dice, nel verso 488 dello stesso libro, che Enea si vide mescolato ai capi degli Achei, o ancora da Orazio, che giustifica Enea nel Carme Secolare; nessuno d’altronde sentirebbe l’esigenza di una difesa se non fosse consapevole dell’insinuazione di qualche sospetto. Nella seconda parte però il commentatore si chiede, con una formulazione retorica, per quale motivo se regna un traditore debba invece errare un pius. Virgilio si sarebbe cioè servito dell’esempio di Antenore proprio come anti-Enea, come personaggio negativo al quale erano stati invece concessi maggiori privilegi, tra cui la possibilità di Illyricos penetrare sinus. D’altronde, continua ad argomentare Servio in questa direzione, secondo Sisenna22 fu soltanto Antenore a tradire la patria, essendo stato l’artefice della restituzione di Elena ed avendo concesso ospitalità agli ambasciatori dei nemici.
La glossa serviana appare l’eco di un progymnasma scolastico: un esercizio retorico nell’ambito del quale si muove un’accusa di tradimento a Enea e, in risposta ad essa, lo si difende. Sulla base di un testo-modello, che veniva fornito dal maestro, gli allievi elaboravano difatti un esercizio (un locum, una suasoria, una controversia23) che poi esponevano dinanzi al resto della classe24. Gli argumenta declamatori erano fondamentalmente tratti dalla materia storica e mitica ma ne sono attestati anche di matrice letteraria come testimonia un celebre luogo delle Confessioni in cui Agostino narra di una pratica diffusa quando era studente presso la scuola del grammaticus, quella dell’immedesimazione nei personaggi virgiliani e della resa in prosa dei versi dell’Eneide25, dato che trova conferma nel testo degli esegeti tardi, ad esempio delle Interpretationes Vergilianae di Tiberio Claudio Donato26, e in maniera analoga in una tipologia testuale quale quella dei themata riportati nel Codice Salmasiano, componimenti in versi realizzati su temi virgiliani assegnati27.
In Servio sarebbe quindi possibile rinvenire la testimonianza di un dibattito retorico, un’esercitazione scolastica in accusa e analogamente in difesa della possibilità che Virgilio abbia velatamente accusato Enea di proditio28. È costante l’interesse del commentatore verso le intenzioni più nascoste di Virgilio: a proposito del citato v. 488, se quoque principibus permixtum agnovit Achivis, egli dice infatti che il poeta o sta accennando latenter all’accusa di tradimento oppure vuole testimoniare il valore di Enea: aut latenter proditionem tangit, ut supra diximus… aut virtutem eius vult ostendere. Non sembra presente una vera e propria accusa nelle glosse serviane, in cui anzi Enea viene esplicitamente difeso, come ad Aen., I, 647, dove il commentatore spiega che quanto ottenuto da Enea non è stato il premio per il tradimento bensì è semplicemente dovuto al casus bellorum29. Altrove si fà riferimento soltanto al tradimento di Antenore30, o in altri casi quella che può sembrare un’accusa è in realtà la più forte ammirazione per la pietas di Enea, come avviene nella glossa del Servio Danielino al v. 636 del libro II dell’Eneide31. Si legge qui che secondo Varrone ad Enea, come ad altri Troiani, fu concessa la possibilità di fuggire con quello che volevano, e l’eroe scelse di liberare il padre; e quando, destata l’ammirazione dei Greci, in seguito a una nuova concessione Enea volle salvare i Penati, gli fu così concesso di portare con sé tutti i beni32. L’ambiguità virgiliana nel ritratto di Enea non deriverebbe quindi dagli obtrectatores di Virgilio, come è stato ipotizzato33, bensì proprio dai suoi più attenti studiosi34.
Il nuovo interesse per il tema del tradimento si diffonde in opere tarde a contenuto storico-mitologico: nell’Ephemeris belli Troiani attribuito a Ditti Cretese35 Enea, divenuto ostile a Priamo, avrebbe pattuito il tradimento con la salvezza del suo bottino e della sua casata36; il de excidio Troiae historia, da collocare nel VI secolo d.C.37, ritrae Antenore ed Enea nell’atto di aprire le porte all’esercito greco per salvarsi insieme a tutti i loro beni38. Un esempio di grande interesse è quello dell’anonima Origo Gentis Romanae, di fine III – inizi IV secolo d.C. ma riportata nel corpus di Aurelio Vittore. In un ampio passo dedicato alla saga eneadica, l’autore riporta entrambe le versioni della tradizione, documentandole con citazioni (9, 1-4):
Post Faunum Latino, eius filio, in Italia regnante, Aeneas, Ilio Achivis prodito ab Antenore aliisque principibus, cum prae se deos penates patremque Anchisen humeris gestanc nec non et parvulum filium manu trahens noctu excederet, orta luce cognitus ab hostibus, eo quod tanta onustus pietatis sarcina erat, non modo a nullo interpellatus, sed etiam a rege Agamemnone, quo vellet, ire permissus Idam petit; ibique navibus fabricatis cum multis diversi sexus oraculi admonitu Italiam petit, ut docet Alexander Ephesius libro primo belli Marsici. At vero Lutatius non modo Antenorem, sed etiam ipsum Aeneam proditorem patriae fuisse tradit: cui cum a rege Agamemnone permissum esset ire, quo vellet, et humeris suis, quod potissimum putaret, hoc ferret, nihil illum praeter deos penates et patrem duosque parvulos filios, ut quidam tradunt, ut vero alii, unum, cui Iulo cognomen, post etiam Ascanio fuerit, secum extulisse. Qua pietate motos Achivorum principes remisisse, ut reverteretur domum atque inde omnia secum, quae vellet, auferret. Itaque eum magnis cum opibus pluribusque sociis utriusque sexus a Troia digressum longo mari emenso per diversas terrarum oras in Italiam devenisse ac primum Thraciam appulsum Aenum ex suo nomine condidisse.
La prima versione è quella di Enea pius: secondo la citata Guerra Marsica di Alessandro di Efeso39 Enea avrebbe tentato di fuggire di notte con il padre sulle spalle e il figlio per mano; essendo stato visto carico di un fardello “così pietoso” gli sarebbe poi stato concesso da Agamennone di dirigersi dove volesse40. La seconda versione si rifà a un Lutazio, probabilmente Lutazio Catulo41, console del 102 e autore di quattro libri di Communes Historiae: sia Antenore che Enea avrebbero tradito la patria; Agamennone avrebbe per questo concesso ad Enea di portare con sé ciò che volesse, ed avendo questi scelto di salvare i Penati, insieme al padre e al figlio (o ai figli), i Greci sarebbero rimasti colpiti da tanta pietà.
Virgilio è in generale molto presente nell’Origo ma, quando l’autore si occupa di Enea, il Mantovano viene sostituito con gli storici repubblicani. L’affermazione secondo la quale Virgilio avrebbe tenuto in conto entrambe le versioni della tradizione a proposito di Miseno, come si legge qualche paragrafo dopo42, sembra invece confermare un’adesione alle scelte operate dal poeta43.
L’interesse per la tradizione di Enea traditore sembra essere quindi di nuovo connesso con l’interpretazione virgiliana. L’anonimo autore dell’Origo gentis Romanae dichiara d’altronde in modo esplicito di aver composto un commento a Virgilio44. Lo afferma commentando proprio un luogo dell’Eneide: si tratta dei versi 242-243 del primo libro, quelli che riportano il dialogo di Venere che si rivolge a Giove lamentandosi della sorte del figlio rispetto a quella di Antenore. L’autore dell’Origo partecipa, quindi, al dibattito retorico sulla presunta consapevolezza del tradimento da parte di Enea, sottintendendo i brani virgiliani ben noti a lui, profondo conoscitore di Virgilio, e ai suoi lettori. Il nuovo interesse per il motivo di Enea traditore vive una nuova fortuna in età tarda anche in connessione con l’esegesi virgiliana e la lettura retorica dell’Eneide di stampo scolastico.
Da Servio forse dipende d’altronde la glossa pseudoacroniana, in cui vengono riportate soltanto le due possibili interpretazioni del sine fraude: l’espressione si riferisce ad ardentem Troiam, e si tratta pertanto di un’allusione al non tradimento di Enea (aut ut Troia non proditione videretur eversa), oppure fraus ha il significato di laesio, come in carm., II, 19, 20, e quindi sine fraude si riferisce a iter munivit nel valore di «senza danno». Il glossatore non è però convinto della prima interpretazione che difatti confuta: non “sine fraude ardentem”, sed “sine fraude iter munivit” Aeneas. Secondo gli scholia vetustiora pseudoacroniani Orazio non voleva alludere al presunto tradimento di Enea, tuttavia il glossatore vuole dimostrare di conoscere tale lettura ideologica, probabilmente nota mediante lo stesso Servio che, nel commento al v. 242 del libro I dell’Eneide, cita appunto il verso oraziano, generando così uno dei tipici riferimenti incrociati tra i due commentatori. Sotto Servio si celerebbe il generico quidam al quale rimanda la glossa della redazione G: Quidam enim putant Aeneam patriae superstitem fuisse, quod iuxta quorundam opinionem crimine proditionis sit dampnatus45.
Tra gli interpreti di Orazio46, chi mette in relazione il sine fraude con patriae superstes ritiene, dunque, che Enea sarebbe sopravvissuto «senza dolo» – secondo il valore medio di fraus – alla patria distrutta47. Accettando tale interpretazione risulta così possibile ipotizzare che la nuova fortuna che il motivo del tradimento di Enea assume nella tarda antichità non vada connesso solo a posizioni ideologiche bensì sia frutto di esercitazioni retoriche in ambito scolastico ai fini di declamationes condotte sul testo virgiliano, la cui esistenza è testimoniata da Servio48. Gli allievi che, per esercitarsi in declamationes e progymnasmata49, devono sostenere l’accusa di Enea traditore, si servono dei versi del Carme Secolare come argomentazione, e tale pratica condiziona sia chi commenta Orazio che chi commenta Virgilio50. Sotto il testo dei commentatori si intravedono così le diverse pratiche dell’insegnamento scolastico vigenti nella scuola del grammaticus ove l’Eneide è punto di partenza e punto di ar rivo.